Qual è la gara più estrema del mondo? - Rawtraining
di Pietro Trabucchi
Basta girare un po’ nel web e si scopre che esistono nel mondo almeno quindici gare che si auto-definiscono ” la più dura del mondo”. Dichiararsi “i più duri” aumenta il richiamo della gara, stimolando la motivazione personale legata al senso di sfida e di autoefficacia: e di conseguenza crescono gli iscritti (e gli utili). Tuttavia un conto è il marketing, un’altra cosa è la realtà. È possibile fare un po’ d’ordine tra queste valutazioni, ovvero stabilire un criterio di giudizio il più oggettivo possibile? È possibile aspirare ad avere qualcosa di molto simile alle scale di difficoltà presenti nell’alpinismo, una sorta di sesto grado anche per le ultramaratone? Ci tentiamo. Anche se il grado di difficoltà che attribuiamo ad una gara rimarrà sempre in gran parte legato alla percezione soggettiva. Una semplice passeggiata nel deserto rappresenta un incubo per chi soffra il caldo; mentre può rivelarsi un modesto inconveniente per i freddolosi. Le salite in montagna sono un bel problema per chi abita costantemente in pianura, mentre sono qualcosa di molto più consueto per chi in montagna ci vive; e così via. Quello che presento è solo un tentativo di creare un indice, il più oggettivo possibile. Sicuramente il lavoro presenta dei limiti, dei quali mi assumo ogni responsabilità. Ho comunque chiesto un parere a riguardo ad un gruppo di esperti: a Fulvio Massa, che è un’autorità indiscussa nel campo del trail; a Gianluca Vernillo, ricercatore presso l’Università di Milano per quanto riguarda le risposte fisiologiche, biomeccaniche e molecolari all’endurance; e ad Aldo Savoldelli, del Centro di Ricerca Universitario Sport montagna e Salute di Rovereto. L’idea è risultata accattivante e magari continueremo a lavorarci sopra, in maniera più scientifica. Quello che presento ora è quindi l’abbozzo di un indice di difficoltà idoneo a valutare le ultramaratone; o meglio, gare superiori ai 100 km. di lunghezza.
Esclusivamente quindi gare a piedi: niente gare ciclistiche estreme come la Great Divide; o performance di endurance terminale come l’Enduroman, una specie di triathlon che contempla- come prova di nuoto- la traversata del Canale della Manica. Leggete quindi quanto segue come uno stimolo, più che un lavoro conclusivo. Un’avvertenza riguarda il fatto che, per non appesantire la formula dell’indice ho omesso il peso dei cancelli orari sulla percezione finale di difficoltà. Sono consapevole che questa rappresenta un’omissione importante: ci sono gare che diventano di élite solo per la presenza di un cancello orario strettissimo che produce una selezione molto potente, come il Trofeo Mezzalama, una delle gare di sci-alpinismo più importanti al mondo. Un altro esempio in questo senso è la Spartathlon. Tuttavia inserire il fattore “cancelli orari” avrebbe complicato tutto enormemente perché bisognava dare loro un peso: non tutti i cancelli infatti sono egualmente severi. Alcune gare, come i casi citati sopra, costringono l’atleta a tenere dall’inizio un’andatura elevata; altri sono più “umani” e svolgono più che un ruolo di “selezione”, una funzione di sicurezza, come nel caso dell’UTMB o del Tor des Geants.
Vediamo come funziona l’indice. Il primo passo fondamentale è creare la cosiddetta “Distanza equivalente”: cioè fare l’operazione che trasforma il carico impattante sull’organismo del dislivello (positivo e negativo) in equivalenti chilometri sul piano. Questa equivalenza è stata proposta per la prima volta in Francia da Bruno Heubi nel 2008. Il dislivello positivo, espresso non in metri ma in chilometri, va moltiplicato per dieci e sommato alla lunghezza della gara. Per esempio, nel caso dell’UTMB (166 km di sviluppo e 9500 metri di dislivello positivo) la distanza equivalente diventa: 166 km + (9,5 x 10)= 261 km. la palma d’oro della distanza equivalente spetta alla Transeurope Footrace, una corsa a tappe che parte da Capo Nord e termina a Bari che nel 2009 ha visto la partecipazione di 67 atleti da 12 nazioni. Trattandosi di 4500 chilometri di sviluppo e circa 4000 metri di dislivello positivo, la distanza equivalente è di 4540.
Se ci limitassimo a calcolare la distanza equivalente, la Transeurope Footrace vincerebbe senza dubbio il titolo di gara più estrema. Ma non è così semplice. Infatti, a questo punto si inseriscono sulla distanza equivalente alcuni coefficienti correttivi della difficoltà. Vediamoli uno per uno.
Cc = Coefficiente di continuità. La distanza è percorsa no-stop, attraverso una situazione di deprivazione di sonno, oppure viene corsa a tappe? Se è no-stop, la distanza equivalente rimane identica, altrimenti va moltiplicata per 0,6 (ovviamente è un valore arbitrario, anche se ritengo sia verosimile). Per esempio, la Marathon des Sables ha una distanza equivalente di 246,5 chilometri essendo che gli organizzatori dichiarano l’assenza di altimetria (io propenderei comunque per assegnarle un’altimetria minima di 300 metri). In ogni caso, la distanza equivalente, moltiplicata per il coefficiente di continuità dà luogo ad un valore pari a 147,9.
Ca = Coefficiente di assistenza e sicurezza. Se l’assistenza, intesa come possibilità di rifornirsi di cibo e acqua, dormire ed essere soccorsi è classificata “ottima”, come nel caso del Tor des Geants o l’UTMB, la distanza equivalente va moltiplicata per 0,7. Dove l’assistenza può essere definita “media” (per esempio nella Mds, dove i viveri sono trasportati dal concorrente che però trova tende e soccorsi garantiti), il coefficiente ha valore 0,8. Gare dove l’assistenza è estremamente rarefatta, come nel caso della PTL o della Yukon Artic Ultra 300 miglia, il valore è 0,9. Dove non c’è alcuna assistenza dobbiamo moltiplicare per 1. Nota: può sembrare l’opposto, ma considero un coefficiente di assistenza elevato un fatto positivo per una gara, non negativo. Nota: un coefficiente di sicurezza basso rende sicuramente la gara emotivamente e fisicamente più sfidante, questo sì, ma non rappresenta necessariamente un valore. Alcune gare, proprio grazie all’assistenza superlativa, trasformano un impresa impossibile in qualcosa alla relativa portata di tutti. È una scelta saggia, a parer mio, anche se ovviamente dopo si diventa meno credibili se ci si presenta come “i più estremi”.
Cb = Coefficiente di balisaggio. Tutti sanno che correre una gara in orientamento è molto più duro che dover seguire su di un chilometraggio equivalente una bella fila di bandierine. Le gare in totale orientamento vengono moltiplicate per un coefficiente 1. Quelle che dispongono di un balisaggio “aleatorio” si moltiplicano per 0,8. Per “aleatorio” si intende un balisaggio che con una certa frequenza scompare a causa delle condizioni ambientali: condizione tipica delle gare nell’Artico e, a volte in quelle nei deserti. Un balisaggio accurato e stabile porta il coefficiente a 0,7.
Ctk = Coefficiente tecnico. Alcune gare presentano tratti tecnici come segmenti di via ferrata, passaggi esposti, pezzetti da arrampicare in salita o discesa, passaggi su ghiacciai. La PTL ne è un esempio emblematico. Alla luce di questo indice si rivela come una degli eventi di endurance davvero più difficili. Il fatto che non proponga una classifica ufficiale e che per regolamento imponga di farla in squadre di almeno due persone (proprio per la pericolosità) non inficia il fatto che rappresenti una sfida davvero temibile. Anzi, la rende ancor più interessante. Se ci sono tratti tecnici bisogna moltiplicare per 1,05. Altrimenti il coefficiente è pari a 1.
Cft = Coefficiente fattore termico. Sebbene occasionalmente il freddo o il caldo possano attanagliare qualsiasi gara, alcune competizioni sono caratterizzate dalla presenza di un fattore termico disagevole permanente: è il caso delle elevate temperature come nella Badwater o in molte gare del deserto, oppure del freddo assoluto come nella Yukon Artic 300. Se è presente il fattore termico occorre moltiplicare per 1,3.
Ora abbiamo l’indice al completo e possiamo passare alla fase dei calcoli:
Indice di Difficoltà = Equivalente chilometrico x Cc x Ca x Cb x Ctk x Cft
Nella tabella sotto un esempio di applicazione dell’indice ad alcune gare considerate “estreme”. Sono solo una piccola parte del “campionario” esistente. Lascio ai lettori il divertimento di applicare l’indice alle altre qui non rappresentate. Buon lavoro.
ptrabucchi
Pietro Trabucchi, si occupa da oltre due decenni di psicologia dello sport, ed in particolare del tema della motivazione e della resilienza.
Insegna "Psicologia dello sport" presso l'Università di Verona. È stato lo Psicologo della Squadra Olimpica Italiana di Sci di Fondo alle Olimpiadi di Torino 2006 (2 medaglie d'oro, 2 di bronzo) e psicologo delle Squadre Nazionali di Triathlon. Attualmente è psicologo delle Squadre Nazionali di Ultramaratona (Campione del mondo 2011 e 2012).
Ha lavorato alla preparazione dei membri di diverse spedizioni alpinistiche finalizzate all'acquisizione di record di ascensione (Aconcagua, Everest, Mc Kinley..). Nel 2005 ha raggiunto la cima dell'Everest nell'ambito della spedizione "Everest Vitesse.
È autore di diversi libri sul tema della resilienza e dell'allenamento mentale, tra i quali -Resisto quindi sono (Corbaccio)- ha vinto nel 2008 il Premio letterario del CONI ed è stato presentato nell'ambito del programma televisivo "Che tempo che fa". L'ultimo libro "Perseverare è umano", uscito all'inizio del 2012, è già alla 5^ edizione. Appassionato di sport di resistenza è stato più volte finisher del Tor des Geants e dell'Ultra Trail del Monte Bianco.
È stato consulente e formatore sui temi della resilienza e dello stress management in molte aziende; intorno a questi argomenti è stato recentemente chiamato ad insegnare presso il "Center of Excellence for Stability Police Units" che si occupa dell'addestramento delle forze internazionali in missione di pace inquadrate presso Eurogendfor e Onu.
La sua attività e materiali sugli argomenti da lui trattati possono essere scaricati dal sito www.pietrotrabucchi.it.