Siamo realmente pronti per le trazioni? - Rawtraining
di Jacopo Arienti
Sono stati scritti innumerevoli articoli sulle trazioni, alcuni belli, altri appassionanti, altri orrendi e spero che questo non cada in quest’ultima categoria.
Il mio tentativo è quello di condensare esperienze pratiche, riflessioni e non ho alcuna pretesa di essere giunto alla verità suprema. Invito a sperimentare in prima persona ciò che di seguito verrà proposto.
È possibile eseguire le trazioni in innumerevoli modi e sinceramente non ho voglia di far guerre di religione, quindi tagliando la testa al toro proveremo a ragionare insieme in termini di problema motorio.
Cos’è un problema motorio? Esattamente come un problema matematico, abbiamo un risultato da ottenere e dobbiamo capire come riuscire a portare a termine l’equazione.
In questo caso specifico il risultato è il superare la sbarra (anelli, fune, muretto, quel che vi pare) con una o più parti corporee (testa, testa-petto, testa-petto-pancia, ecc..) stando col corpo in sospensione, appesi per le mani.
La nostra priorità è riuscire a capire quali siano i fattori che ci permettono di esprimere più forza in funzione del risultato.
È innegabile che il primo vincolo tecnico che andrà a costituirsi definirà anche quanta forza avremo bisogno; superare la sbarra solo con la testa richiederà una certa quantità di forza, oltrepassare con il petto, la pancia o con le anche ben altra.
E qui apparentemente tutto si complica, nascono tecniche, traiettorie e posture valide per ogni caso specifico e per carità tutte validissime ma esiste un principio fondamentale che possiamo applicare a prescindere dalla specificità?
Sollevare 100 per sollevare 10
Se riesco a sollevare 100 kg sarò in grado di fare altrettanto con 10 kg, mentre invertendo le parti del discorso nasce un quesito di difficile soluzione.
Dobbiamo imparare a sollevare 100, ovvero creare i presupposti funzionali per poter gestire la massima espressione di forza possibile.
È un lavoro lungimirante, gestire la condizione più complessa per poi poter agevolmente scalare e adattare in funzione di richieste inferiori.
È bene chiarire che questo processo passa attraverso lo studio del movimento corporeo, non è un approccio quantitativo alla forza, non si intende “spingi 100 chili e chi s’è visto s’è visto”.
In funzione della soluzione è indispensabile lavorare sulla tesi, dobbiamo trovare una via per giungere alla soluzione stessa.
Se non so dove sono come posso sapere dove andare?
Il nostro corpo ha bisogno di un punto di appoggio per poter esprimere forza, se la memoria mi accompagna non mi pare di aver visto molte persone in grado di fluttuare nell’aria ma più spesso ho assistito a persone che si muovono camminando, correndo, ecc..
Quando camminiamo appoggiamo i piedi al suolo, un punto fermo (ok non è così fermo, ma lo percepiamo come fermo) ed è grazie a questo che possiamo spingere con i nostri piedi, imprimere forza; la disparità di massa a favore della terra fa sì che lei rimanga dov’è e il nostro corpo si muova.
Nel caso in cui siamo appesi e ci apprestiamo a sollevare il nostro corpo, il nostro appoggio sarà la sbarra (anelli o quel che volete) e le mani avranno una funzione simile a quella dei piedi.
Il punto è che la funzione dei piedi e delle mani è ben più complessa di quella che potremmo inizialmente pensare ed è possibile fare un piccolo esperimento per verificare la questione.
Proviamo a stare in posizione eretta, in piedi, scalzi, sguardo avanti a noi. Ora chiudete gli occhi e potrete sentire come dal piede provengono una serie di sensazioni, di indicazioni, di informazioni legate alla gestione dell’equilibrio.
Bene il piede è una sorta di radar, non è un semplice piedistallo come nei pupazzetti del lego e la gestione delle afferenze, delle sensazioni provenienti dal piede, diventa fondamentale nel momento in cui si vuole imparare a imprimere forza a partire dalle estremità inferiori.
E la mano? Beh, usare la mano come un uncino inerte sarebbe un vero spreco, vedremo ora perché.
Non tirare, SPINGI!
Appendiamoci alla sbarra e cerchiamo di imprimere forza a partire dalla mano, non fissiamoci sul bicipite, schiena, non giriamo la testa a guardare le vene dell’avambraccio ma ascoltiamo quel che ci racconta la mano. Risultato? Omertà? Mano poco disposta al dialogo… può succedere.
Proviamo ad appoggiare il palmo della mano sopra la sbarra, chiudiamo la presa e stiamo anche solamente appesi, nel peggiore dei casi sentirete la sbarra “spingere” verso il palmo.
Questo è un inizio ma è fondamentale in quanto ora abbiamo creato la connessione tra il punto fermo e il nostro radar (mano).
Ora l’unica cosa che ci resta da fare è cercare di applicare forza e se la sbarra è ben solida e la forza sufficiente, il vostro corpo dovrebbe spostarsi verso l’alto.
Cerchiamo però di sfruttare le sensazioni provenienti dal palmo della mano e anziché pensare a “tirarci su” immaginiamo di spingere giù, cerchiamo di far affondare la sbarra sottoterra, schiacciamo verso il basso a partire dalla mano.
Per alcuni sarà un problema ma esiste una soluzione per poter apprezzare la sensazione e fornirà anche ulteriori spunti di riflessione.
Breve inciso: cercare di “registrare” mentalmente le sensazioni corporee durante l’apprendimento di un nuovo schema motorio, di un movimento, può essere vantaggioso; è una presa di coscienza di come le varie parti del nostro corpo si muovono, dei ritmi e si possono apprezzare le differenze date dalla variazioni di particolari benché questi appaiano minimi.
Per sensazioni non intendo il “senti come brucia” o “feel the pump” ma il concerto di movimenti delle varie parti corporee.
Il giochino dell’elastico
Prendiamo un elastico da palestra, in alternativa vanno benissimo camere d’aria da bicicletta, fissiamolo alla sbarra. Posizioniamoci sotto la sbarra e impariamo a spingere.
Serriamo l’elastico con le mani e a braccia tese spingiamo con il palmo rivolto verso il basso.
Sperimentate un po’ la spinta, giocate sulle sensazioni, variate posizioni, postura e gestione delle spalle.
Noterete come deprimendo le spalle sarà più semplice spingere, si guadagnerà in compattezza e la spalla lavorerà meglio. Altra cosa che ad alcuni verrà spontaneo fare è chiudere leggermente le costole e contrarre l’addome.
Altra cosa che sarà impossibile non notare sarà la schiena che lavora, nitida la sensazione di attivazione della muscolatura del dorso.
Abbiamo provato a braccia tese, ora riproviamo piegando le braccia ma cercando ugualmente di spingere, cercando di replicare almeno in parte le strategie che abbiamo messo in atto prima.
Bene, ora proviamo a tirare invece… improvvisamente cambia tutto! Alcuni anziché chiudere leggermente le coste faranno esattamente il contrario arrivando addirittura ad iperestendere il tratto lombare e in molti terranno le scapole addotte.
Al di là di tutte queste differenze salterà subito all’occhio una differenza tra la traiettoria dell’elastico usato in spinta e in tirata.
Questa differenza di traiettoria dell’elastico sarà la stessa che avrà il nostro corpo in relazione alla sbarra: tirando ci troveremo sotto alla sbarra mentre spingendo guadagneremo un po’ di distanza e sarà più semplice salire.
Vi ricordate ciò che era scritto all’inizio? Non abbiamo ancora definito di quanto vogliamo superare la sbarra ma stiamo cercando un principio generale applicabile al maggior numero di casi in ottica di soluzione del problema motorio.
Spingere ci permette di lavorare con una traiettoria più conveniente anche in caso sia necessario superare di molto la sbarra, salire più in alto significa dover imprimere più forza, lavorare in ottica di massima espressione della forza ci renderà inevitabilmente più abili ad esprimere forza.
La forza è una diretta conseguenza della abilità ad esprimerla, si è forti quanto si è abili.
Esperimenti di postura
Prima abbiamo notato giocando come spingendo e tirando venisse spontaneo variare anche la postura della colonna vertebrale, la gestione delle spalle e delle scapole.
Abbiamo deciso di utilizzare la “spinta” come concetto per gestire la motricità e l’attivazione dei vari distretti muscolari in ottica di soluzione del nostro problema motorio.
Spingendo veniva spontaneo chiudere le coste in basso, contrarre l’addome e possiamo trovare una spiegazione abbastanza intuitiva utilizzando il concetto di punto fermo e di appoggio di poco prima.
Provate a spingere e al tempo stesso a estendervi all’indietro, anziché salire vi troverete impiccati sotto la sbarra in una posizione a mio modo di vedere alquanto scomoda (se poi vi piace nulla di male eh).
Chiudendovi leggermente in avanti sarà più agevole spingere, l’addome attivandosi fungerà da punto fermo, guadagnerete in compattezza.
Breve inciso sul termine e i concetti associabili a “compattezza”: compatti non significa diventare dei gatti di marmo, rigidi, ma le parti saranno coese e questo ha il vantaggio di non dissipare forza in direzioni sconvenienti.
Possiamo prendere spunto dal contesto della ginnastica artistica e trovare il riferimento posturale che racchiude gli adattamenti richiesti per risolvere il nostro ormai noto problema motorio.
L’hollow position è una valida soluzione ed è facilmente applicabile al nostro caso specifico.
L’importanza delle basi
Notate bene come non abbia ancora parlato di trazioni, fino ad ora abbiamo sperimentato un po’, abbiamo cercato di fare cose apparentemente anti-intuitive come spingere rimanendo appesi, giocato con elastici, variato posture.
Piano piano abbiamo costruito dei vincoli motori in funzione della creazione dell’esercizio che sia soluzione per il nostro problema motorio. Avete letto bene, l’esercizio si crea, non esiste!! L’esercizio è una costruzione, è la risposta alla nostra necessità e questo concetto è stato ribadito più volte in articoli precedenti ad opera mia e di Boris Tripodi.
Per questo motivo non vi dirò che le trazioni vanno eseguite solo così, le trazioni possono essere interpretate in mille modi, ma abbiamo trovato insieme la soluzione più adatta a rispondere alle necessità prima espresse: massimo ROM (range of motion) e massima espressione della forza.
Non abbiamo ancora parlato di trazioni perché di fatto queste sono un pretesto per poter parlare della creazione dei presupposti per poter gestire correttamente il movimento.
Imparare a spingere la sbarra è una abilità che prescinde l’esercizio specifico.
Gli attrezzi e gli esercizi sono degli strumenti con cui impariamo a muovere il nostro corpo, con cui fondiamo le basi per poter gestire una gamma di situazioni sempre più ampia in modo da renderci abili a risolvere i problemi motori che via via saremo costretti ad affrontare.
Lavoriamo
Bene mettiamoci al lavoro…ok come?
Siamo arrivati al momento in cui siamo costretti a definire il vincolo tecnico, non possiamo assolutamente farne a meno ora.
Il vincolo tecnico è l’unica costante che ci permette di misurare i nostri progressi: il nostro corpo è soggetto alla trasformazione, così la nostra percezione, abbiamo bisogno di un punto fermo (ricorre..).
Vediamo di elencare gli elementi che ormai abbiamo scelto per quest’opera di definizione:
- attivazione a partire dalla mano;
- spinta in basso e non tirata;
- depressione delle spalle in fase di “spinta”;
- hollow position.
Manca solo definire il ROM (range of motion).
Bisogna partire dal presupposto che quanto in alto riuscirete a salire dipenderà da quanta forza siete in grado di esprimere, più siete abili e forti più salirete.
Tuttavia i risultati potrebbero essere variabili, chi supererà con facilità la sbarra con la pancia e chi a malapena con l’estremità dei capelli.
Una strategia produttiva potrebbe essere “facilitare” l’esercizio, ad esempio scaricando un po’ di peso al suolo, appoggiando i piedi per terra stando appesi ad una sbarra più bassa o usando un elastico per alleggerire il peso corporeo e riuscire a lavorare con il massimo ROM realisticamente possibile.
Alcune persone potrebbero non avere particolari problemi ad attivarsi a partire dalle estremità ma averne molti in ottica di mantenimento della postura. La postura si mantiene se si ha coscienza delle caratteristiche che la definiscono, essere in grado di “sentire” la reale posizione delle nostre parti corporee non è semplice come potrebbe sembrare.
Assumere una postura e mantenerla è già di per sé un esercizio e come tutti gli esercizi richiede dei requisiti motori per poterli gestire.
È importante rendersi coscienti che niente è scontato, particolari in apparenza banali possono influire pesantemente il risultato da ottenere. I puzzle che compongono i movimenti hanno bisogno di tutti i pezzi per essere completati altrimenti ad un certo punto si incontreranno muri apparentemente insuperabili.
Volontariamente non entrerò nello specifico della definizione della postura e della sua gestione, magari in un altro articolo, un elemento alla volta, mi preme più far passare un concetto che è trasversale a qualsiasi caso contingente.
Create l’esercizio
È il momento di creare l’esercizio, abbiamo un risultato da ottenere:
superare la sbarra con il nostro corpo in ottica di massimo sviluppo della forza.
A mio modo di vedere ci sono tante strade perseguibili, semplifichiamo le cose e partiamo da un “test massimale”.
Appendetevi alla sbarra, assumete la postura del vincolo scelto, spingete verso il basso la sbarra con la massima forza possibile e verificate con che parte del corpo raggiungete la sbarra.
Il problema è che alcuni non si saranno nemmeno avvicinati alla sbarra, iniziamo dunque con la creazione di qualche esercizio per voi.
Cercate una sbarra ad una altezza che vi permetta di poggiare i piedi a terra, tenete il busto verticale in linea con le braccia perpendicolari al suolo, e provate a spingere verso il basso.
Eseguite lentamente il movimento in modo da non creare vuoti di spinta, quando arriverete al limite aiutatevi un pochino con le gambe ma continuate a spingere con le mani.
Porre il palmo della mano sopra la sbarra stessa faciliterà la gestione delle sensazioni, vi accorgerete se state mollando la spinta in quanto non sentirete più pressione.
È importante inizialmente lavorare con lentezza per gestire correttamente tutte le variabili ed essere in grado di correggere in corso d’opera. Una sorta di educazione motoria, la velocità aumenterà spontaneamente nel momento in cui sarete in grado di gestire in maniera fluida e composta il movimento rispettando tutti i requisiti del vincolo tecnico (che in questo caso avrà delle variazioni vista la differente gestione dei piedi).
Fin dove salire? Provate ad arrivare fino alla pancia, avrete l’ausilio delle gambe, non temete fallimenti.
Fondamentale è SPINGERE! L’intenzione è più importante del risultato, ricercando costantemente la spinta svilupperete i requisiti necessari a portare a termine il compito.
Potrebbe essere incluso come riscaldamento il giochino con l’elastico prima sperimentato, si lavorerebbe sul riconoscimento delle sensazioni e potrebbe facilitare il resto dell’allenamento.
Chi invece la sbarra è riuscita a superarla potrebbe includere entrambi gli esercizi proposti come routine preliminare, senza dover dedicare delle ore, giusto il tempo necessario a riscaldarsi correttamente e a interiorizzare le sensazioni da ricercare.
E poi? È tutta questione di tempo! Quanto tempo avete per allenarvi? 20 minuti ogni giorno? Così sia!
Usate come parametro fondamentale per definire il lavoro il massimale tecnico, ovvero il maggior numero di ripetizioni per cui il vincolo tecnico è mantenuto.
Definite un punto di arrivo preciso (pancia, anche, sterno, clavicole, ecc..) e cercate di raggiungere sempre quello.
Personalmente vi consiglio di cercare il punto più in basso possibile, il numero di ripetizioni gestibili sarà ridotto ma sarete costretti a spingere di più, imparerete a salire sempre più in alto e diventerete più forti.
Il tempo di pausa può essere variabile, cercate sempre di mantenere il vincolo tecnico e allenatevi per il tempo che avete a disposizione.
Immagino già gli attacchi di panico di alcuni senza schemi precisi, non dico di far le cose a caso ma in questa fase è prioritario sperimentare, diventare bravi a spingere.
La libertà
Col tempo diventerete bravi a spingere, questa gestione diventerà semplice e naturale e avrete la possibilità di scegliere in assoluta libertà.
Io non dico che “tirare” nelle trazioni sia sbagliato ma è indubbiamente un limite se è l’unica cosa che siete in grado di fare.
Ampliare il vostro bagaglio esperienziale, imparare a gestire il proprio corpo in diverse maniere vi metterà nelle condizioni di avere più strumenti a disposizione per la risoluzione dei problemi motori che di volta in volta vi troverete a dover risolvere.
La forza è figlia della abilità, non si scappa.
L’errore che si fa spesso è quello di adattare l’esercizio in funzione dei propri limiti motori, è un po’ come evitare di fare sottrazioni perché si sa fare solo somme, tocca imparare.
È indispensabile cercare di mettersi in gioco, ripartire dai presupposti motori, dalle basi, da esercizi semplici.
L’esercizio è già una risposta ad una necessità, è lo svolgimento per la soluzione al problema, è una costruzione.
Possiamo scegliere il vincolo tecnico che è più congeniale al nostro risultato ma saremo realmente

osservatore
Jacopo Arienti, RawTraining Strength Master Coach. Tra i fondatori del gruppo di allenamento "7th block calisthenics", coach di gymnastics per il Clean Cut Competitor Program(CCCP) per cross Atletes. Mosso dalla convinzione che l'attività fisica è prima di tutto sperimentazione diret-ta, alla costante ricerca di sfide in ambito sportivo che possano ampliare il proprio baga-glio motorio, attualmente impegnato come agonista di lotta olimpica stile libero e grap-pling. Libero pensatore e inevitabilmente Rawer.
1 Contro 3 contro 5 contro 100 serie 23 Maggio 2016

5 commenti
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Concludo io “…ma saremo realmente liberi solo quando sceglieremo come muoverci DURANTE l’esercizio e non l’esercizio a scegliere come noi ci muoviamo”.
A parte questo, ottimo articolo Jacopo!!!
Spingere invece che tirare cambia completamente gli esercizi di tirata, bisogna proprio provarlo sulla propria pelle per capirlo.
Complimenti a Jacopo per l’ottimo articolo..
Ho avuto il piacere di allenarmi con lui all’RTSS ed è stato estremamente efficecae!
Complimenti Jacopo.
Articolo interessantissimo.
Gli unici problemi sono nell’ ordine:
I mille dubbi che mi hai fatto venire in testa,
La voglia di provare subito,
I calli sanguinanti alle mani.
ottimo articolo Jacopo, mi è piaciuto molto, bravo!
Scusate se rispondo in ritardo, felkce sia piaciuto.
Alberto guarda che sapendo quanto sei (giustamente) esifente mi ritengo lusingato 😉