Dimmi perché ti dopi - Rawtraining
di Massimo Pratelli
“There are no shortcuts. The fact that a shortcut is important to you means that you are a pussy.” – Mark Rippetoe
(“Non ci sono scorciatoie. Il fatto che una scorciatoia sia importante per te, vuol dire che sei una mezza fighetta.” – Mark Rippetoe)
Lo spettro del doping è presente ormai in tutte le discipline sportive, dagli sport olimpici alle attività ludico sportive di livello assolutamente amatoriale. Si sentono quotidianamente storie di atleti colti sul fatto, di preparatori o guru che consigliano pratiche illecite che mettono a repentaglio la salute degli atleti ed è capitato a tutti di nutrire seri dubbi su amici, conoscenti o atleti amatoriali impegnati nel loro sport preferito. Ma perché la gente si dopa? Qual è la molla che spinge le persone a far uso di sostanze illecite e che cosa si aspettano veramente dal doping? Analizziamo insieme alcuni dei fattori che portano le persone a cercare di superare i propri limiti ad ogni costo e vediamo fino a che punto tutto questo abbia un senso, senza pregiudizi. Non è nello scopo di questo articolo prendere una posizione a favore o contro, ma semplicemente creare degli spunti di riflessione su una questione assai spinosa.
Cos’è il doping
La legge 376/2000 in materia di doping dà una definizione molto chiara e precisa di cosa si intende come “doping” nello sport e dei motivi per i quali il legislatore consideri necessario impedire le pratiche dopanti.
L’art. 1, comma 1, in particolare, evidenzia come “L’attività sportiva è diretta alla promozione della salute individuale e collettiva e deve essere informata al rispetto dei principi etici e dei valori educativi richiamati dalla Convenzione contro il doping…” e, in relazione alla tutela della salute pubblica “Ad essa si applicano i controlli previsti dalle vigenti normative in tema di tutela della salute e della regolarità delle gare e non può essere svolta con l’ausilio di tecniche, metodologie o sostanze dì qualsiasi natura che possano mettere in pericolo l’integrità psicofisica degli atleti.“
Il comma 2 recita invece: “Costituiscono doping la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti.“
In parole povere, dunque, il doping non è altro che l’alterazione artificiale delle prestazioni attraverso l’assunzione di particolari sostanze o la messa in atto di pratiche che modificano in qualche modo i normali parametri fisiologici dell’atleta.
Queste modificazioni artificiali possono portare ad un miglioramento delle prestazioni individuali attraverso il superamento delle naturali soglie fisiologiche di ciascun atleta, ma lo espongono, secondo il legislatore, ad un rischio per l’integrità psicofisica. Torneremo su quest’ultimo punto e lo esamineremo in maggior dettaglio più avanti.

A livello internazionale la definizione data dalla WADA (World Anti Doping Agency) è ancora più strutturata e comprende tutta una serie di aspetti legati al doping, dall’assunzione di sostanze proibite alla loro somministrazione a terzi, dal traffico al semplice possesso.
Esiste una moltitudine di sostanze che alterano le prestazioni in modo diverso e che si adattano alle esigenze di ciascuna specifica attività, in funzione dello sport praticato. Ci sono prodotti che stimolano l’aumento di forza e di massa muscolare, aspetti privilegiati da chi pratica sport di potenza e di forza, altri che, invece, aiutano a migliorare la resistenza agli sforzi aerobici e vengono utilizzati dagli atleti impegnati in sport di endurance. L’elenco prosegue con una serie infinita di sostanze e pratiche diverse usate anche in sport “insospettabili”, come il tiro a segno o il tiro con l’arco.
Il doping fa male?
Il motivo principale per il quale le autorità di mezzo mondo si accaniscono nella lotta al doping è il fatto che l’assunzione di farmaci senza motivi terapeutici espone l’utilizzatore a seri rischi per la salute. Va oltre i propositi di questo articolo fare una disamina attenta ed accurata degli effetti negativi del doping, anche perché le sostanze dopanti sono moltissime e di natura assai varia, per cui non è possibile affrontare questo argomento senza il giusto approfondimento.
Possiamo però dare delle informazioni di carattere generale per aiutare chi non conosce questo mondo a capirne un po’ di più. In senso assolutamente generale, le sostanze dopanti sono in gran parte dei farmaci che in origine sono stati sviluppati ed utilizzati per curare le patologie più disparate, ma che vengono usati in modo improprio per i loro effetti “collaterali” di miglioramento della performance. È abbastanza facile capire come l’uso non giustificato da necessità terapeutiche (e spessissimo a dosaggi diverse volte maggiori rispetto alle dosi terapeutiche) di un qualsiasi farmaco possa provocare effetti negativi sulla salute. Effetti che a volte sono reversibili, altre volte no.
Gli steroidi, ad esempio, vengono usati per incrementare forza e massa muscolare e possono portare a scompensi del delicato equilibrio ormonale, con effetti collaterali come la comparsa dei caratteri sessuali secondari maschili nelle donne (peli, cambiamenti della voce, etc.) e impotenza o infertilità nell’uomo. L’insulina, usata per i suoi effetti altamente anabolizzanti, porta con sè rischi potenzialmente letali per chi non soffre di diabete. E così via.
Oltre agli effetti potenzialmente pericolosi a breve termine come quelli accennati, bisogna anche considerare gli effetti a lungo termine, di cui si parla molto meno. La morte prematura di alcuni atleti negli ultimi anni ha portato l’ambiente medico a credere che ci sia una correlazione diretta tra le malattie cardiovascolari e l’uso massiccio di steroidi. Bisogna poi ricordare che qualsiasi farmaco assunto per lunghi periodi senza una giustificazione terapeutica, porta con sé un prezzo da pagare in termini di salute nel lungo periodo.
Ma funziona?
Il fatto che ci sia un problema così vasto e diffuso su scala globale è un segnale inequivocabile del fatto che doparsi funziona. Negli anni 80/90, per cercare di arginare il dilagare del doping, si tentava di sminuire ogni effetto di miglioramento della performance dicendo che assumere farmaci era inutile e che gli effetti di miglioramento delle prestazioni erano trascurabili, fino a quando ci si è accorti che non ci credeva nessuno e che era inutile tentare di negare l’evidenza. Si, perché doparsi fa male ma funziona ed è meglio cercare di convincere la gente a non farlo informandola degli effetti negativi sulla salute, piuttosto che negarne gli effetti. Chiunque abbia provato, anche una sola volta, ad utilizzare gli steroidi, sa bene come questi agiscano in modo rapido ed efficace nell’aumentare forza e massa muscolare.
È sufficiente guardare una gara di bodybuilding “natural” per rendersi conto della differenza tra gli atleti che si sottopongono a test antidoping e gli altri. Negli anni 70 la squadra femminile di nuoto della Germania Est, l’allora DDR, vinse 10 ori su 14 stabilendo diversi record del mondo, ma le atlete avevano muscoli stranamente sviluppati ed una voce profonda. Ad un allenatore di una squadra avversaria che espresse dei dubbi sul motivo per cui molte atlete avessero una voce così profonda, la risposta fu “Siamo venuti qui per nuotare, non per cantare. “
Il caso di Ben Johnson, che vinse un oro olimpico nei 100m piani battendo un record del mondo, per poi risultare positivo all’esame antidoping e vedere medaglia e record cancellati, è altrettanto emblematico. Al suo rientro non riuscì più ad eguagliare o nemmeno avvicinare le prestazioni di cui era stato capace con l’aiuto dei farmaci.
Lo stesso discorso vale per gli sport di endurance, dove gli atleti dopati riescono a tenere ritmi insostenibili per gli altri. Sono emblematici i casi degli ultimi anni in cui i blitz delle forze dell’ordine in diverse gare ciclistiche internazionali hanno portato alla luce un mondo sommerso di dimensioni enormi.
Chi si avvicina al doping e come
Il mondo del doping è molto meno scientifico e rigoroso di quanto si possa pensare. L’idea comune è che buona parte degli atleti di élite abbia alle spalle team di medici e preparatori di alto livello che curano in modo scientificamente rigoroso tutti gli aspetti della preparazione dell’atleta, dall’allenamento all’alimentazione, per finire col doping (per chi ne fa uso, naturalmente). Questo è vero solo in una piccola percentuale di atleti e quasi esclusivamente nella ristretta cerchia degli atleti di livello internazionale (fatta eccezione per i casi di doping di stato evidenziati dalle cronache recenti). Quasi tutti gli amatori e buona parte dei professionisti dopati si affida alle attenzioni di “preparatori” senza scrupoli che consigliano come, quando e cosa assumere. Esiste una categoria di guru che prescrivono varie sostanze basandosi principalmente sull’esperienza personale (maturata su se stessi o su altri atleti) e su tutta una serie di testi underground. Non esistono, naturalmente, figure professionali adeguatamente formate a livello universitario per esercitare un’attività del genere ed anche i medici senza scrupoli che assistono gli atleti in pratiche illecite, non possono contare su ricerche rigorose condotte in questo ambito specifico.
Se usciamo dal circolo degli atleti di punta, poi, troviamo una massa enorme di atleti amatoriali che fanno uso di sostanze dopanti, per i motivi più diversi. Passiamo dal ragazzo di periferia che si dopa per avere gli addominali scolpiti da esibire in spiaggia al ciclista della domenica che vuole andare più forte del suo amico, dal powerlifter che vorrebbe fare il record in una particolare alzata al fighter che sogna di fare l’UFC o al crossfitter che vorrebbe arrivare ai regionals.
Dunque abbiamo da una parte gli sport che fanno capo a Federazioni Nazionali riconosciute dal CONI e che devono seguire le regole dettate dal CIO e dalla WADA, dove vengono eseguiti test a sorpresa e i controlli sono severi. Dall’altra, invece, c’è tutta la schiera degli sport cosiddetti minori e non riconosciuti dal CIO, all’interno dei quali le regole dell’antidoping sono meno ferree e chi si dopa sa di poterlo fare quasi sempre impunemente. In generale, mano a mano che si scende verso il basso, verso sport meno seguiti e con interessi economici minori, scende anche il livello e la preparazione dei guru. E aumenta il rischio per l’atleta.
Succede tutto in modo semplice, persino sconcertante. Il ragazzo di turno vede un amico o un conoscente che ha risultati sospetti, miglioramenti improvvisi ed evidenti della forma fisica o delle prestazioni e si vanta del suo stato di grazia. Tutti sospettano ma nessuno si preoccupa veramente. È sufficiente fare un paio di domande per essere indirizzati verso il guru di turno o, peggio ancora, per farsi dare due dritte dall’amico stesso che ne sa zero o poco più. E qui comincia il viaggio nel mondo del doping che prosegue con la ricerca di uno spacciatore che procuri i prodotti consigliati dal guru.
Così torniamo al discorso della tutela della salute pubblica accennato in precedenza. Le buone intenzioni del legislatore, infatti, si scontrano con una realtà ben più complessa, nella quale il proibizionismo legato alla diffusione dei farmaci dopanti porta ad un effetto contrario rispetto alle buone intenzioni della legge. Chi si dopa, infatti, esattamente come chi assume sostanze stupefacenti, non si ferma davanti all’impossibilità di acquistare ciò che cerca in un canale ufficiale, ma si rivolge al mercato nero. E il mercato nero, dominato dalla malavita organizzata, è invaso da farmaci dopanti prodotti in laboratori clandestini, spesso all’estero in Paesi dove i controlli sono pressochè inesistenti, senza controlli sulla sicurezza, sulla sterilità e sull’effettiva presenza delle sostanze dichiarate in etichetta. Così il rischio è di iniettarsi un prodotto non sterile, potenzialmente contaminato, senza garanzie di sicurezza e che non sappiamo se contiene ciò che promette. Ci sono casi di atleti che sono finiti in ospedale con ascessi gravissimi causati da iniezioni di prodotti non sterili, con sintomi da sovradosaggio di sostanze che non sapevano di aver assunto e così via. La tutela della salute pubblica diventa, con questa logica, un aumento del rischio per l’anello più debole della catena: l’atleta. In pratica si cerca di arginare un fenomeno potenzialmente pericoloso innescando un meccanismo altrettanto pericoloso, se non addirittura di più.
Ma il nocciolo della questione è un altro: perché ci si dopa? Questa domanda, secondo me, non ha una risposta semplice ed immediata come si potrebbe pensare. Vediamo.
Dimmi perché ti dopi
Siamo tutti portati a pensare che il motivo sia semplicemente uno: vincere. Ad un primo sguardo la risposta può sembrare persino banale nella sua semplicità: voglio correre più forte, sollevare più peso, saltare più in alto dei miei avversari e allora qualsiasi mezzo diventa funzionale a questo scopo. Ma io penso che questa risposta sia un po’ semplicistica, che non sia tutta la verità. O meglio, questo può essere vero per il club esclusivo degli atleti per i quali la vittoria è un fattore determinante, un traguardo indispensabile nella loro vita. Diventa una carta da giocare per quelli che hanno dato tutto, ma proprio tutto quello che potevano dare in termini di allenamento e alimentazione, quelli che hanno portato il loro corpo al limite psico-fisiologico e che si ritrovano ad aver raggiunto un plateau, a non riuscire ad andare oltre. Ma come abbiamo visto in precedenza, questi sono una ristretta minoranza perché il grosso lo troviamo tra gli amatori, se non addirittura tra chi non partecipa neppure a competizioni ma desidera esclusivamente avere un bel fisico. Il fatto che il doping, ammettiamolo, funzioni, crea delle aspettative in chi non ha voglia di fare fatica, di ottenere i risultati attraverso ore ed ore di allenamenti estenuanti e rigorosi. La prospettiva di poter ottenere il risultato in modo facile e senza fatica è attraente per la maggior parte delle persone che puntano solo al risultato, senza trovare piacere nella ricerca di quest’ultimo. Lo sport non deve puntare solamente all’obiettivo, ma deve esserci piacere nel lavoro fatto per arrivare a quel risultato. Ci si allena perché si prova piacere nel farlo, perché è bello vincere una sfida soprattutto con se stessi. Una volta che viene a mancare questo aspetto, viene a mancare l’essenza stessa dello sport.
A mio giudizio gli aspetti negativi del doping in senso ampio, non sono solamente quelli relativi alla salute, ma sono anche di carattere educativo. Il doping, oltre ad essere un problema per la salute, è estremamente anti-educativo perché insegna a ricercare una scorciatoia, anche quando il medesimo risultato può essere raggiunto con il duro lavoro. La maggior parte di chi si dopa, non lo fa per raggiungere il suo massimo potenziale, ma per raggiungere un livello di prestazioni pari a quello che potrebbe essere raggiunto con il solo allenamento, ma con molta più fatica e in tempi più lunghi. Bisogna però ricordare che ciò che viene guadagnato con facilità, si perde con la stessa facilità e questo vale anche e soprattutto in questi casi, innescando un circolo vizioso potenzialmente infinito. Gli atleti più longevi sono quelli che lavorano duro, dedicando tutti se stessi allo sport, senza cercare la strada più breve per arrivare in cima.
Le scorciatoie sono per le mezze fighe.

maxprat
Massimo Pratelli, classe 1965, ha praticato e pratica diversi sport fin da piccolo. Ha cominciato con il Judo per poi dedicarsi a diverse attività tra cui vari sport da combattimento, bodybuilding, parapendio ed altro. Ha fondato e gestito per vent'anni un'azienda di integratori alimentari, ha fatto da consulente dietetico per diversi atleti (anche di livello olimpico) ed è attualmente un dirigente di una delle maggiori federazioni di bodybuilding a livello internazionale. Appassionato di alimentazione ed integrazione ha formulato diversi prodotti presenti sul mercato ed è un profondo conoscitore del mondo dell'integrazione alimentare.

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