Le regressioni. - Rawtraining
di Matteo Bolognini
Essere al 18esimo anno di età con tutti i vantaggi del caso, ma essere obbligati a tornare alle medie.
Regressioni… Andiamo subito al sodo.
Ogni persona che si allena da anni e vuole migliorare e perfezionarsi sa che dovrà stringere i denti e lavorare sui punti deboli. Un atleta o più semplicemente un appassionato ha ben chiaro che mesi di lavoro non garantiscono necessariamente dei progressi. A volte ci si ferma, si va in stallo, spesso perché i programmi presentano delle zone d’ombra che non promuovono alcun cambiamento.
Guardiamo al futuro con fiducia ed andiamo avanti ragionando quasi sempre sui progressi, cioè su cos’altro possiamo fare per ottenere quei tanto ambiti obiettivi da tempo sognati e perseguiti. Violentiamo la nostra mente nel ricercare o inventare l’esercizio che più si adatta alle nostre peculiarità motorie, fermo restando che nel fitness non c’è più nulla da inventare. Anzi, sarebbe il caso di mettere ordine ed organizzare, considerata la mole pazzesca di materiale che si può trovare in rete e sui libri.
Non diamo attenzione a cosa già sappiamo, a quelle basi, quei mattoni che nel tempo hanno contribuito a farci diventare ciò che siamo oggi. Da dove vengono i risultati che abbiamo duramente conquistato? Come siamo riusciti ad incrementare i carichi, ad aumentare l’intensità, i volumi di lavoro, a diventare più muscolosi e resistenti?
Riprendiamo le cose che abbiamo fatto fino ad ora, analizziamole, svisceriamo gli esercizi fatti e rifatti negli anni. Se siamo migliorati in tutto questo tempo nonostante l’età che avanza e le mille vicissitudini, significa che ciò che abbiamo fatto ha funzionato. Diamogli quindi l’importanza che merita: è il nostro oro.
Non cerchiamo sempre altrove le chiavi del successo, perché in parte – in buona parte – le abbiamo già, anche se ce ne dimentichiamo. Va bene la sana voglia di imparare, conoscere cose nuove e confrontarsi, ma è fondamentale avere coscienza dei propri mezzi e potenzialità, ambire a obiettivi reali senza sopravvalutarsi. In questa ottica è molto importante delegare ad un allenatore i nostri allenamenti, sia che siamo istruttori, campioni pluridecorati o laureati.
Pongo una domanda. Quanta importanza diamo alle Regressioni?
Mi spiego. Diamo rilievo ad esercizi atavici, imparati chissà quanti anni fa, da cui siamo partiti per costruire uno squat, un push-up, una verticale, ecc? Forse alcuni lo fanno, ma non è raro notare in molti programmi l’assenza di questi basici schemi motori. Uno schema è come un puzzle, un insieme di più micromovimenti, frammenti che compongono il gesto fatto e finito.
Come dicevo all’inizio, succede che in alcuni periodi andiamo in stallo, che incontriamo una fase di plateau e i motivi possono essere diversi. Non mi interessa analizzare le cause dello stallo, ma capire meglio come possiamo eventualmente superarlo, e addirittura avere una chiave per il futuro che ci possa venire in aiuto in situazioni di difficoltà.
Concentrarci sulle progressioni ci permette inevitabilmente di darci degli obiettivi – che è poi il senso intrinseco dell’allenamento stesso – però a volte capita che per migliorare sia necessario fare due passi indietro per garantire la scalata verso obiettivi futuri più ambiziosi.
Facciamo un esempio. Due anni fa ho avuto un infortunio al braccio e la diagnosi fu tendinopatia distale del bicipite brachiale. Fare precisi esercizi come military press e trazioni divenne molto difficoltoso. Le spinte verticali su tutti. La causa dell’infortunio il sovraccarico. Avevo da poco re-inserito i press su piano verticale ed evidentemente avevo sbagliato qualcosa nella gestione dei carichi. Annoto per dovere di cronaca che da un anno o poco più mi allenavo in totale autonomia. Sono fermamente convinto che da soli si fa poco, o comunque si è vincolati alla propria ed unica visione e ciò col tempo può essere un limite.
Nei Military press la difficoltà maggiore, o meglio il dolore, era all’inizio dell’alzata, diciamo fino al mento. Faticavo anche con il bilanciere scarico, mentre dal mento in poi potevo anche avvicinarmi all’80% del mio massimale senza percepire dolore, ma al più un fastidio. Assieme al fisioterapista studiammo un protocollo specifico per riadattare il sistema nervoso centrale a muoversi sotto carico e nel range di movimento critico, abbassando via via la soglia di dolore percepito. Lui come me era contrario al riposo netto e totale.
Siamo riusciti in circa un paio di mesi a recuperare quasi totalmente le funzioni del braccio sotto carichi importanti, migliorando conseguentemente il massimale sui press verticali.
Il lavoro svolto è stato in due fasi:
- Trovare il range di movimento in cui non era presente dolore, ma al massimo un lieve fastidio, e lavorare con carichi medio importanti (tra il 70-80% dell’1RM) con serie da 3/4 ripetizioni ciascuna.
- Lavorare con carichi esigui, anche con semplici bastoni, in quella porzione di movimento dove era presente dolore, con lo scopo di “fottere” il sistema nervoso centrale e non addormentarlo del tutto, ma continuando a inviare stimoli gestibili nel tempo.
In più inserivo esercizi di propriocezione per le scapole ed espansione toracica.
Ho semplicemente scomposto l’esercizio del Military Press nei suoi micromovimenti. Avevo necessità di ricomporre il puzzle.
Questo lavoro lo si può, anzi lo si dovrebbe fare ciclicamente e non solo quando si è spalle al muro.
Lavori di ripresa di certi esercizi basici, propedeutici, andrebbero eseguiti più volte durante l’anno, magari in off-season o nel post gara/evento sportivo, in un momento di scarico passivo.
Il vero problema a mio modo di vedere è che quando le Regressioni non sono programmate vengono concepite come un insuccesso, e qui l’aspetto mentale gioca un ruolo cruciale. Oltre ad essere parte essenziale di svariati programmi, le regressioni sono un vero toccasana anche per la psiche dell’atleta. Scomporre un esercizio come se fosse la prima volta che lo eseguiamo, ci permette di riappropriarci di quei frammenti di movimento che man mano andiamo anche a migliorare, affinare, garantendo un guadagno sull’esercizio target in termini di performance.
Conosco molte persone restie a fare questi lavori, perché per loro esiste solo una strada: sempre avanti. Non è una strategia longeva però. È preferibile impiegare più tempo per raggiungere il traguardo, ma perfezionando via via il gesto. Non conosco nessuno che ha messo 100kg in più sul bilanciere nello squat senza cambiare la tecnica. Questo significa solo e un’unica cosa: ha lavorato sulle basi, sulle fondamenta. E le ha rese più solide migliorando la performance.
Efficienza nel gesto = Efficacia.
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Matteo Bolognini
Matteo Bolognini è un trainer poliedrico. Formatosi in ambito socio pedagogico con una laurea in Scienze della Formazione, ha poi ampliato i suoi orizzonti dedicandosi al mondo fitness e sportivo specializzandosi in allenamento a Corpo libero, Kettlebell Sport, Powerlifting e Grip Sport. Scevro da qualsiasi preconcetto e stereotipo considera l'allenamento come parte integrante e imprescindibile dello sviluppo personale. "Non ci sarà efficacia se non si costruiscono mezzi efficienti". Puoi contattare Matteo su http://www.matteobolognini.it/