Fai una pausa! Recuperi autogestiti o predeterminati? - Rawtraining
di Karsten Jensen
I periodi di recupero sono una fase fondamentale dei programmi di allenamento per la forza. Immaginati di fare 5 serie da 5 con l’80% del tuo massimale senza recupero! Ovviamente, ciò non è possibile. Incorporare periodi di recupero ci consente di esercitare una quantità maggiore di lavoro all’intensità desiderata in una data sessione di allenamento.
Ad ogni modo, l’utilizzo ottimale dei periodi di recupero implica molto più del semplice “prendersi una pausa”. Due strategie fondamentalmente differenti per regolare i periodi di recupero sono quelle di auto-regolarli (il che presuppone dei parametri soggettivi) oppure di pre-determinarli (attraverso l’utilizzo di un periodo di tempo definito oppure di una finestra temporale). Lo scopo del recupero è quello di consentire ai vari sistemi dell’organismo, e in particolare al sistema nervoso, al sistema cardiocircolatorio ed all’ambiente biochimico dei singoli muscoli, di recuperare dallo stress indotto dall’allenamento.
Esiste una grossa mole di letteratura che ci fornisce varie linee guida sulla tipologia di lavoro: periodi di recupero (lavoro metabolico / lavoro dei sistemi energetici) o finestre temporali (allenamento per la forza per l’ipertrofia, per la potenza o per la forza massimale). Il testo “Science and practice of strength training” di Vladimir Zatsiorsky offre una tra le migliori linee guida sui periodi di recupero che si possano trovare. Io ho riscontrato che l’utilizzo delle linee guida trovate in letteratura non sempre crea una risposta ottimale e non sempre consente un utilizzo ottimale del tempo passato allenandosi.
Per esempio, di solito viene raccomandato che i tempi di recupero tra le serie in un protocollo per la forza massimale siano di almeno 3 minuti. Lo scopo di ciò è di consentire al sistema nervoso ed al sistema atp/crp di recuperare. L’esperienza, comunque, dimostra che in alcune circostanze il pieno recupero viene raggiunto molto prima rispetto al limite dei 3 minuti. Per esempio: un atleta (A) con due anni di esperienza, che esegue una serie da 8 ripetizioni di distensioni su panca con il 75% di 100kg, non stresserà il suo organismo come l’atleta (B) con 5 anni di esperienza, che esegue la stessa serie da 8 ripetizioni, ma con il 75% di 200kg.
Si farebbe un cattivo uso del tempo passato in allenamento facendo recuperare 3 minuti l’atleta A, se il suo organismo ha raggiunto il pieno recupero molto prima. Si potrebbe addirittura verificare un calo dell’eccitazione del sistema nervoso, della temperatura muscolare e, di conseguenza, si rischierebbe un calo della performance e persino un infortunio.
I periodi autodeterminati (utilizzando un parametro soggettivo per decidere se si è pronti ad eseguire la serie successiva – vedi scala sotto) possono essere un metodo per ottenere periodi di recupero ottimali e sono facili da trasmettere in un programma di allenamento scritto.
Determinare se sei pronto alla serie successiva (R1-5):
R5 – Pieno recupero: frequenza cardiaca normalizzata, lieve tensione/bruciore muscolare. “Fregola” di eseguire la serie successiva.
R4 – Recupero quasi completo, ma l’accumulo di affaticamento derivante dalle serie precedenti comincia a farsi sentire.
R3 – Recupero moderato: potresti sentire un po’ di tensione derivante dalle serie precedenti e una frequenza cardiaca leggermente elevata.
R2 – Un po’ di affaticamento sotto forma di frequenza cardiaca elevata o bruciore muscolare.
R1 – Affaticamento sostanziale sotto forma di frequenza cardiaca elevata e bruciore muscolare. Cominciare una serie successiva richiede uno sforzo.
L’allenamento per la forza massimale, richiede tipicamente periodi di recupero R4-R5, mentre l’allenamento per l’ipertrofia prevede R1-R4, a seconda della natura specifica del protocollo. Ci sono dei vantaggi specifici dei periodi autoregolati, utilizzando la scala soggettiva precedente:
1. La risposta dell’atleta/cliente può variare di giorno in giorno.
Alcuni giorni, per esempio, gli atleti possono presentarsi dopo una sessione di allenamento specifica del loro sport e dunque hanno bisogno di più recupero per effettuare il programma di allenamento con una qualità sufficiente. In altri giorni potrebbero presentarsi riposati ed aver bisogno di recuperi molto più brevi.
Determinare una finestra temporale, per esempio 1-2 minuti, può compensare le variazioni giornaliere nella condizione dell’atleta. Solitamente, però, scrivere una finestra temporale nel programma di un atleta farà scaturire la domanda:
“Ma devo recuperare uno o due minuti?”
L’allenatore deve allora rispondere spiegando quali messaggi verranno inviati dal corpo per segnalare che si è pronti a cominciare con la serie successiva. Per esempio: “La frequenza cardiaca sarà ancora elevata” sarà una spiegazione equivalente all’utilizzo della scala soggettiva presentata prima.
2. I recuperi autodeterminati tengono in considerazione l’aumentare dell’affaticamento man mano che si procede con l’allenamento
Un programma di allenamento potrebbe includere diversi esercizi che utilizzano lo stesso tipo di protocollo, come, ad esempio, un protocollo per la forza massimale. L’affaticamento è ovviamente inevitabile e i tre minuti che erano sufficienti nel primo esercizio potrebbero non essere più abbastanza. Inoltre, utilizzando la sopra menzionata “Finestra temporale” l’allenatore potrebbe cercare di prevedere un incremento nella necessità di recupero assegnando, per esempio, 3 minuti per serie nel primo esercizio, 3 ½ nel secondo e 4 in un ipotetico terzo esercizio.
Ho sperimentato il metodo sopra menzionato. È praticamente impossibile, fa sprecare un sacco di tempo e non incrementa per nulla la qualità del programma di allenamento.
3. I recuperi autodeterminati tengono in considerazione l’incremento dell’affaticamento causato dall’aumento di volume o intensità nel corso di un ciclo di allenamento.
La natura di un buon programma di allenamento è la progressione. La maggior parte dei cicli partono relativamente leggeri e prevedono un incremento sistematico nel volume o nell’intensità. Una conseguenza logica di questa progressione è un aumento del recupero tra le serie (a meno che il programma non preveda una diminuzione del recupero – un argomento per un prossimo articolo).
4. I recuperi autodeterminati stimolano la consapevolezza del proprio corpo.
La natura della scala soggettiva è che l’atleta ascolta e, di conseguenza, reagisce ai segnali specifici inviati dal corpo, come, ad esempio, la frequenza cardiaca. Ascoltare e reagire ai segnali dell’organismo è un’abilità fondamentale per tutti, atleti e non atleti.
Nella fasi iniziali dell’allenamento, quando un atleta/cliente fa un sacco di fatica semplicemente per imparare i movimenti e non conosce molto bene il proprio corpo, i recuperi autodeterminati potrebbero non essere adatti.
Il recupero autodeterminato richiede anche disciplina. Ho avuto spesso esperienza con atleti che – dall’esperienza specifica del loro sport – sono abituati ad agire in condizioni di affaticamento e tendono ad abbreviare i recuperi nelle sessioni di allenamento per la forza e la potenza. Quando gli atleti tendono ad abbreviare i recuperi (o ad allungarli in modo inappropriato), questi dovrebbero essere descritti nel programma di allenamento.
I recuperi autodeterminati non dovrebbero essere utilizzati in modo esclusivo. Se l’obiettivo principale dell’allenamento è la condizione metabolica, un tipo di programma ad intervalli con tempi di lavoro e recupero predeterminati è da preferire.
Vuoi saperne di più? “Science and practice of strength training” di Vladimir Zatsiorsky offre una tra le migliori linee guida sul recupero che si possano trovare.
user_1800
Esperto nell'allenamento della forza e nel conditioning Karsten Jensen a partire dal 1993 ha aiutato atleti di livello mondiale e olimpionici in 14 sport diversi. Molti di questi atleti hanno vinto i campionati europei, i campionati mondiali e tornei del circuito ATP. Karsten crede nel potenziale illimitato dell'essere umano e condivide i suoi punti di vista in qualità di conferenziere internazionale, autore di diversi libri e educatore del Certified Professional Trainers Network. Attualmente lavora come high performance trainer presso l'università di Toronto ed è responsabile della pubblicazione - attraverso il sito www.yestostrength.com - di No Gimmicks Ezine, una rivista elettronica periodica gratuita dedicata alla preparazione degli Strength Coach e dei personal trainer per "le esigenze del domani". Ha conseguito la Master Degree in Exercise Physiology e diverse altre certificazioni.
10 Modi per progredire negli inverse row21 Dicembre 2014
Il metodo EDT 21 Dicembre 2014
1 commento
Lascia un commento
Elimina la risposta
E' necessario registrarsi or effettuare l'accesso per poter lasciare un commento.
Riportando la questione su di un piano oggettivo/misurabile, la lezione (o spunto) che se ne può trarre è utilizzae la frequenza cardiaca per misurare il recupero; l’ho visto menzionare più volte a Jamieson senza mai prescriverlo specificamente. Un’idea da esplorare….