Mobilità contro flessibilità - Rawtraining
di Alexander Juan Antonio Cortes
Prima che la mobilità fosse anche solo “considerata”, c’era il termine flessibilità (anche elasticità, in italiano – ndt). Ed aveva una definizione piuttosto chiara.
C’era la flessibilità passiva, che è la massima lunghezza di un muscolo rilassato (per esempio: sei seduto per terra e cerchi di toccarti gli alluci) e c’era la flessibilità attiva, che era la lunghezza di un muscolo in uno stato attivo o impegnato.
Se la tua flessibilità passiva era scarsa, avevi una flessibilità attiva limitata quando eri in movimento. Per quanto riguarda il miglioramento della flessibilità passiva, lo stretching passivo era solitamente considerato molto efficace. Nei confronti della ginnastica con i pesi, c’è una mole considerevole di prove a supporto del fatto che l’allenamento con i pesi effettuato lungo tutto l’arco di movimento migliora sia la flessibilità passiva che quella attiva.
Se il tuo range di movimento nel sollevare pesi era scarso, non avevi la possibilità di migliorare la flessibilità attiva e nemmeno quella passiva. Ciò è una parte del motivo da cui deriva lo stereotipo dell’essere “legati”. In effetti, è possibile diminuire la flessibilità se ci si allena con i pesi con un arco di movimento parziale.
Ma quanta flessibilità serve? Abbastanza per muoversi senza costrizioni lungo l’intero arco di movimento relativo all’attività in questione. Non sembra poi così complicato, no? Allora perché la mobilità rende tutto così difficile? E dove la collochiamo?
Mobilità o flessibilità attiva?
La mobilità viene definita dall’Oxford Dictionary (nell’edizione in lingua inglese, ndt) come “L’abilità di muovere o essere mossi liberamente e con facilità”. Esempio: questo esercizio aiuta a mantenere la mobilità delle articolazioni danneggiate.
La flessibilità è invece definita come “L’arco di movimento di un’articolazione lungo i vari piani di movimento”. Esempio: L’atleta ha migliorato la flessibilità della caviglia attraverso lo stretching statico.
Ora, quelle sono le definizioni del dizionario, non le definizioni del “fitness”.
Per quanto riguarda la storia dell’allenamento della “mobilità” nell’industria del fitness, posso solo parlare in relazione alla mia età. Ho 27 anni e non vivo da abbastanza tempo da aver visto tutte le tendenze dei decenni passati, naturalmente. Posso solo parlare per quanto riguarda gli ultimi dieci anni o giù di lì e per il gran volume di letteratura storica che ho letto.
Dopo questa premessa, è ora di entrare nel vivo.
La mobilità, concettualmente, è sempre stata caratterizzata come “l’abilità di muoversi”, e storicamente viene quasi sempre applicata alla funzionalità articolare. Anche tornando indietro di decenni nella letteratura dell’allenamento e della terapia fisica, viene usata in relazione al movimento delle articolazioni.
Solo nell’ultimo decennio o giù di lì è stata resa popolare includendo il “movimento” nel suo insieme.
Ora, il punto è che la definizione si è distorta, poiché il termine “movimento” non ha una definizione chiara.
So già che qualcuno farà il nome di varie organizzazioni che sostengono di avere una definizione chiara del termine “mobilità”. Quelle stesse organizzazioni hanno anche spesso dei programmi di certificazione e le definizioni che usano dipendono dai loro fondatori e dai praticanti.
Questa NON è una critica, ma piuttosto la constatazione che la concettualizzazione di mobilità è ancora in una fase di sviluppo.
Su una scala più ampia, illustra il fatto che il concetto di mobilità è basato sulla prospettiva da cui lo si guarda piuttosto che avere un approccio diretto e univoco.
E allo stesso tempo, la flessibilità viene spesso definita come l’avere diversi gradi di mobilità e, VICEVERSA, le definizioni di mobilità definiranno il termine come un miglioramento della flessibilità.
Ciò che si incontra è dunque un problema di semantica. Le discussioni su cosa sia la “mobilità” in relazione al “fitness” non sono mai in accordo le une con le altre, mentre le sovrapposizioni tra mobilità e flessibilità sono costanti. Sono in larga parte la stessa cosa e le discussioni non vertono su questioni tecniche ma sulla concettualizzazione di cosa dovrebbero significare.
Alla fine, c’è un sacco di spreco d’energia nelle discussioni sul significato delle parole, molta della quale è sprecata in rapporto all’applicazione pratica con i clienti.
Il marketing della mobilità
Non c’è bisogno di sottolineare che la mobilità è un termine di marketing MOLTO popolare e talvolta viene usato come termine gergale del mondo del fitness per suonare “fighi”, mentre in realtà non si sta dicendo nulla.
Mobilità e una “brutta” parola da usare? In realtà no, ma è stata trasformata in un termine di marketing sopravvalutato che ha tentato di rimpiazzare la definizione di flessibilità attiva, mentre allo stesso tempo la imbastardiva.
Parlando sia in veste di personal trainer che di ballerino con un diploma in coreografia, ho sempre trovato che tutta la pubblicità sulla “mobilità” sia piuttosto esagerata.
A volte la mobilità assume qualità quasi mitiche – “Stiamo allenando il MOVIMENTO” – quando, in sostanza, l’esercizio fisico è allenamento. Non stiamo forse allenando il “movimento” quando eseguiamo un allenamento con i pesi tradizionale?
Oltre a ciò, si sostiene che allenare il “movimento” sia più “funzionale”. Ciò deriva dall’incongruenza sull’allenamento funzionale che ha pervaso il settore qualche anno fa. Gli esercizi classici venivano criticamente etichettati come “non funzionali”, ma nessuno ha mai definito quale dovrebbe essere il significato di funzionale.
Era diventata una scusa per attaccare alcuni tipi di allenamento e divinizzarne degli altri, mentre, alla fine, il gruppo di chi si allenava in modo “funzionale” non ha mai dimostrato che questi metodi fossero in qualche modo migliori di quelli che criticava (quantomeno si notavano per lo più perché davano l’impressione di non essersi mai allenati).
Il presupposto di dissociare l’allenamento tradizionale con i pesi dal “movimento” è, in quanto tale, piuttosto bizzarro. Se alleni le articolazioni attraverso tutto il range di movimento con un carico adeguato, l’insieme delle ricerche indica che ciò porta effetti benefici sulla “mobilità”.
In qualità di ballerino con un diploma in movimento e coreografia, ho trovato personalmente che le discussioni sulla mobilità siano spesso incentrate sul principio dell’essere in grado di eseguire determinati gesti atletici. Ma essere in grado di eseguire un handstand non è “mobilità” più di quanto non lo sia fare spaccate, breakdance, ginnastica artistica, afferrare oggetti con i piedi o semplicemente toccarti gli alluci.
Mentre tutte quelle cose richiedono una gran flessibilità attiva, non c’è un criterio ragionevole che determini se sono utili, pratiche o necessarie. Manca il contesto e la pertinenza.
La maggior parte dei gesti di “mobilità” che vengono messi in evidenza, sono semplicemente skill atletiche che necessitano di allenamento. Hai proprio bisogno di fare quei gesti? Questa domanda non ha una risposta per tutti. Sono cose fighe da saper fare. Niente di più, niente di meno.
Inoltre, c’è il ragionamento che la mobilità sia semplicemente “muoversi bene” e sia quindi importante allenarla. Di nuovo, non c’è un criterio generale per determinare il significato di muoversi “bene”. Se ti muovi e non senti dolore, ti stai muovendo bene?
Se sai fare l’handstand e la capovolta all’indietro, sei più “mobile”? E se senti dolore eppure corri le maratone? Si tratta di movimento “buono”?
Se c’è un bisogno così impellente di allenare la mobilità, significa allora che c’è anche un allenamento “immobile” e che la mobilità è diventata una qualità fisica alla quale dobbiamo prestare particolare attenzione?
Adesso torniamo alla mobilità come un’estensione distorta della flessibilità. Come si faceva a praticare sport o a compiere qualsiasi gesto atletico prima che esistesse l’allenamento per la mobilità?
Ma la mobilità è qualcosa di reale oppure un surrogato per chi non si allena, non gareggia o non pratica una reale attività fisica?
Posso continuare con questa linea per sempre, ma il punto resta lo stesso: la parola mobilità viene usata come parola d’ordine ma manca il contesto. Il termine e tutto quanto lo accompagna si riduce a qualcosa di assurdo man mano che tenti di capirlo.
I segreti della mobilità rivelati!
Dopo aver detto tutte quelle cose, tornerò sulla mia stessa domanda e su come alleniamo i clienti della Relentless Gym per migliorarne la mobilità.
- Stretching statico – Contrariamente ai dogmi attuali, incoraggiamo e guidiamo attivamente i nostri clienti verso lo stretching STATICO. Infatti, il riscaldamento alla Relentless Performance è fatto di esercizi multipli di stretching statico e dinamico. Facciamo in modo che i nostri soci dedichino 10-15 minuti per passare attraverso una sequenza di allungamenti statici e dinamici prima dell’allenamento. Funziona bene, dato che tutti i soci riportano miglioramenti sia sul range passivo che attivo a livello quasi settimanale.
- Alleniamo con un range di movimento completo – Diamo la priorità all’esecuzione degli esercizi con un completo allungamento della fase eccentrica ed una contrazione concentrica completa. È stato dimostrato più volte che l’allenamento per la forza attraverso TUTTO l’arco di movimento aumenta la flessibilità e tutti i nostri soci possono testimoniarlo.
- Inseriamo angoli multipli di estensione/contrazione – Questo può essere chiamato allenamento “multi planare”, ma è essenzialmente una forma di bodybuilding “intelligente”. Alleniamo tutti i gruppi muscolari in tutte le possibili angolazioni/linee di movimento. Specialmente nel caso di bacino e spalle, poniamo l’enfasi su angoli “intermedi” e laterali, come il rematore basso o alto, diverse inclinazioni della panca per le distensioni, affondi laterali e incrociati ed alcuni tipi di lavoro unilaterale.
- Alleniamo per l’IPERTROFIA – La maggior parte della popolazione generale ha carenza di massa magra, è fisicamente debole e, in quanto tale, la mobilità ne soffre. Di conseguenza, alleniamo tutti perché possano essere più muscolosi – e di conseguenza più forti – possibile. Quasi tutta la nostra programmazione è studiata espressamente per l’ipertrofia muscolare. Teniamo il range delle ripetizioni tra 6 e 20. Usando un arco di movimento completo, lavorando ad angolature diverse e facendo stretching statico, i nostri clienti sono più muscolosi, più flessibili e si muovono molto meglio rispetto a quando sono entrati in palestra per la prima volta.
- PERSONALIZZIAMO – L’arte dell’allenamento si è apparentemente persa con l’attuale generazione di allenatori, che aderiscono alla pratica distorta del basarsi su “scienza e sostanza”, ma che mancano della capacità di applicare tutto ciò a delle PERSONE reali. Noi ci basiamo sulle persone in tutto quello che facciamo e tutti i nostri allenamenti progrediscono in modo corretto, vengono modificati ed aggiustati in base al cliente in questione. In relazione alla mobilità, i clienti ricevono esattamente ciò di cui hanno bisogno e noi li valutiamo con attenzione nel corso delle sessioni di allenamento. Sebbene abbiamo dei modelli mentali di allenamento da seguire, siamo consapevoli del fatto che l’allenamento è fondamentalmente un processo dinamico, basato sull’osservazione e il feedback. Con un processo del genere in atto, non ci affidiamo ad una panacea o ad una pillola magica per rispondere alle necessità di tutti. Trattiamo i clienti come individui e li alleniamo come tali e i loro miglioramenti nella mobilità provengono da un allenamento ragionevole e adeguato, non da tecniche o trucchetti dell’ultima ora.
Rivoluzionario? Non credo. Forse, la Relentless Performance è un salto indietro all’era pre-internet quando i risultati determinavano, in ultima analisi, l’efficacia dell’allenamento e le mode arrivavano lentamente. In relazione al trend della mobilità ed al panorama attuale, possiamo usare il termine “mobilità” ma non dobbiamo accostargli un’aura di mito.
Il nostro schema mentale è di usare ciò che è stato provato e dimostrato, non ciò che è solo nuovo e in qualche modo diverso. Non ci credi? Prova e vedrai. Oppure vieni a trovarci nella nostra palestra, se ti sembra una buona idea.
L’articolo originale è pubblicato su EliteFTS.com

AlexanderJuan
Alexander Juan Antonio Cortes vive e lavora secondo il mantra dell’essere (più) forti. Nel 2008, in seguito ad un infortunio, aveva bisogno del bastone per camminare, ma dopo aver letto Under the bar di Dave Tate, ha scelto di non dover essere mai più debole. Con un background atletico non tradizionale ed un diploma in coreografia per la danza, Alexander è un profondo studioso della scienza e della psicologia del perché ci alleniamo. Ha allenato centinaia di clienti come personal trainer dal 2009.
La periodizzazione della FORZA secondo J.P. Egger 10 Ottobre 2016

2 commenti
Lascia un commento
Elimina la risposta
E' necessario registrarsi or effettuare l'accesso per poter lasciare un commento.
Apprezzo spesso gli articoli di questo ottimo sito;questo è un po un eccezione.
La prima parte ha qualche spunto interessante,ma non mi sembra chiaro cosa intenda l’autore con mobilità,movimento,streeching e correlazione tra loro(correlazione che c’è;il corpo è uno)…..un po parla di mobilità,di movimento….non è che siano esattamente la stessa cosa.
Od è stato tradotto male?!
La seconda parte è un mero spot pubblicitario.
Una visione personale(come tutte le altre)sul sistema di allenamento che propongono.
Superfluo.
Peccato.
La mia interpretazione è che l’autore abbia voluto mettere enfasi sul fatto che oggi ci si ferma troppo spesso alle parole, senza analizzare i significati. Spesso ciò porta a dare nomi diversi alle stesse cose e ci riempie la bocca con termini che suonano fighi ma che individuano qualcosa che esisteva già, ma fino a ieri veniva semplicemente chiamato in un modo diverso (vedi flessibilità e mobilità).
La seconda parte può sembrare uno spot, ma trattandosi di un articolo comparso sul web, credo voglia semplicemente portare un esempio di come, secondo l’autore, dovrebbero essere fatte le cose.
La traduzione secondo me è ben fatta.