Realtà VS programmazione - Rawtraining
Il miglior approccio possibile in molti SDC nella pratica reale
di lenny bottai
Premessa doverosa, nell’analisi generale si parla di un gap culturale negli SDC senza specificare quali. Le mie personali esperienze, fatte di almeno vent’anni in questo ambiente, sono legate per lo più al pugilato, ma avendo molti amici e molti contatti in altri sport da combattimento, che ho anche praticato per brevi periodi, ho sentito spesso parlare negli stessi termini in questi ambienti.
Tutto il mondo è paese… Nello stesso pugilato si potrebbe dire che vi sono anche, fortunatamente, tanti esempi positivi i quali discostano da questa analisi.
Quindi nessuno si offenda!
Chi sa quello che fa in palestra, sa bene quanti colleghi non fanno lo stesso. Avanzare collettivamente come disciplina, a livello culturale, è vantaggio di chiunque ami la disciplina della quale stiamo parlando.
Un po’ di storia.
Fino all’arrivo della programmazione vera e propria dell’era moderna (passati da Murphy a Kotov, quindi Nadori ed infine a Matveev) periodo a cavallo tra la fine dell’800 e la metà del ‘900, gli atleti venivano più o meno allenati secondo i riti vodoo degli allenatori che avevano. Credenze tramandate di generazione in generazione negli anni, che non potevano essere sfatate o messe in discussione da studi e ricerche.
Ciò avveniva anche nelle discipline di prestazione più importanti, di corsa, salto e capacità atletiche varie dove si andava più o meno ad intuizione o per esperienza nella stesura dei programmi di allenamento.
Nella boxe, al tempo unico sport da combattimento famoso e seguito come competizione, si andava oltre ogni immaginazione anche per ragioni sociali. Chi combatteva, entrava nelle palestre e si affidava ad allenatori/manager, finendo spesso quasi come “animale da circo” sul ring per mangiare racimolando qualche borsa che gli garantiva un’onesta sopravvivenza.
Ricordo un fantastico libro che raccontava le preparazioni di alcuni campioni di boxe a mani nude del fine ‘800. Si facevano cose assurde del tipo dormire o camminare per km sotto tre o quattro coperte di lana per fare “sudarella” e dopo gli allenamenti si razionava all’atleta della buona carne di bue e della birra per “reintegrare”, questi erano i manuali “scientifici” del tempo.
Non voglio neppure immaginare che tipo di programmi svolgessero questi animali, che poi si cazzottavano a torso e mani nude, come mamma li aveva fatti, per un tempo indeterminato, o meglio, fino a quando come in Highlander non ne rimaneva soltanto uno. Difatti al tempo non era neppure contemplata la vittoria ai punti.
Con la presa di coscienza dell’uomo sulla necessità di periodizzare l’allenamento al fine di raggiungere una prestazione massima in un dato periodo, più o meno tutte le discipline olimpiche hanno imparato a fondo che da questa ciclizzazione degli allenamenti, con relative dinamiche di carico, intensità e volume, si ottenevano degli adattamenti che portavano ad un incremento delle qualità da esprimere per raggiungere un risultato eccellente.
Nel ‘900 dal blocco dei paesi dell’est sono arrivati numerosi studi e pubblicazioni che hanno fatto la storia delle basi più importanti nelle metodologie di allenamento, le quali ancora oggi costituiscono un patrimonio sportivo bibliografico per chiunque voglia approcciarsi ai sistemi più coscienti. Questo al di là del parallelismo dell’utilizzo di “mamma chimica” (doping) di molti atleti provenienti da quel blocco, fenomeno negativo che a differenza della cultura sportiva è arrivato ovunque, in quanto strada da intraprendere per non accettare l’eterna sfida dell’uomo con la natura.
Il susseguirsi degli incrementi prestativi, quindi, indicava anche e soprattutto la genuinità di molte strategie e metodologie innovative che hanno caratterizzato le maggiori competizioni dello scorso secolo, durante il quale, con l’intensificarsi di questo approccio qualitativo, la cultura della programmazione ha fatto breccia nel mondo dello sport, spargendosi a macchia d’olio e diventando una base indissolubile di ogni sport di prestazione (o closed skills).
Di riflesso poi, ma in maniera meno ferrata e scontata, ciò è avvenuto anche nei giochi di squadra e solo per ultimi negli sport da combattimento.
Nei primi, per anni si è pensato a curare atleticamente solo un aspetto generale di “fondo” oltre a molto lavoro specifico di tecnica e tattica. C’erano i giocatori più estrosi, che spiccavano in assoluto per capacità tecniche, ed altri che grazie ad un patrimonio proprio riuscivano a sopperire con grandi capacità e condizioni fisiche.
Poi una crescita generale ha obbligato chiunque volesse ottenere risultati a non trascurare entrambi gli aspetti anche negli sport di squadra, dove man a mano il piano fisico ha raggiunto un livello importante per non dire dominante.
Negli SDC siamo arrivati ancora dopo a comprendere a fondo l’importanza di una relazione diretta tra le pratiche attuate nella metodologia e nella programmazione dell’allenamento, e ciò che è richiesto per un risultato ottimale anche in una disciplina di situazione. Tutt’oggi questo approccio cosciente non deve esser dato troppo per scontato, mancanza di cultura in merito e soprattutto di un riscontro oggettivo nella prestazione in termini di numeri, come avviene in sport che hanno una misura impugnabile come feedback in gara e in allenamento (centimetri, Kg, secondi, metri…) garantiscono a chi ha un approccio approssimativo la sopravvivenza.
Se non programmi attentamente il tuo allenamento in gara non salterai, correrai o solleverai quel massimo che ti serve per arrivare a medaglia, sul ring (nella gabbia o sul tatami, dove volete…) comanda la situazione, le soggettività, la capacità volitiva e caratteriale, inoltre molti agenti esterni che compongono mille variabili incalcolabili di uno sport di situazione. Non fosse così, molti allenatori avrebbero dovuto evolvere i loro sistemi di allenamento per non soccombere, invece sono tutt’oggi vivi e vegeti e sguazzano nei loro arcaici teoremi.
La stessa impossibilità di avere un calendario annuale delle competizioni, va ad aggiungersi alla difficoltà logistica di poter riuscire a programmare attentamente i cicli di allenamento. Per molti atleti dilettanti la chiamata ad una competizione arriva a pochi giorni dal match e per i professionisti appena ad un mese.
In questo lasso di tempo, dentro il quale non si incastra nessun programma serio che porti ad un incremento sostanziale, il dislivello qualitativo tra chi ha un approccio cosciente e chi uno più casuale, può essere vanificato dal fatto che un classico programma di routine che crea una condizione media, possa risultare talvolta anche più funzionale.
Non ultimo il fatto sociale che per molti allenatori ed atleti, in un paese strozzato economicamente dalla predominanza del calcio, lo sport non rappresenta anche ai massimi livelli un’occupazione seria e stabile, fatto che incentiverebbe forse il proliferare della professionalità.
Conosco tanti atleti ed allenatori che dedicano allo sport tutto il tempo che possono, ma che tra tanti impegni di vita, per sopravvivere in questa giungla urbana fatta di mille impedimenti, non riescono a fare più di quanto riescono.
Tuttavia, se i cachet dell’MGM o del Cesar Palace sono assai distanti da quelli nostrani, la cultura sportiva è a portata di libro e costa solo un approccio diverso.
Analizzare questo gap culturale e pratico potrebbe aiutare gli SDC come soggetto unico ad avanzare nella sua interezza e migliorare il livello della competizione, cosa che significherebbe elevare la qualità degli atleti che emergono dai vertici di questa piramide sportiva.
I campioni veri infatti, sono dati dal livello della competizione, più ce n’è, più il livello di accesso ad essa richiede una qualità assoluta di base, quindi più se ne deve esprimere per emergere ai vertici. Questo necessita indubbiamente una crescita collettiva in termini di preparazione e professionalità di chi propone una disciplina, a patto che non si tratti di semplice svago o fitness.
In centinaia di palestre purtroppo la parola “programmare” è relegata ad una scelta intuitiva, poco cosciente o addirittura casuale di insegnanti tuttologi, i quali magari, se tutto va bene, hanno una certa esperienza diretta e un curriculum sportivo come atleti, tuttavia non hanno familiarità con nessuna metodologia di allenamento.
Per molti di questi, ahimè, i libri servivano solo ai tempi della scuola dell’obbligo e non hanno relazione diretta con ring, tatami o gabbie, ma solo con banchi di scuola, divani e salotti. Mentalità machista di chi si lega solo alla pratica diretta e spesso viene sventolata con orgoglio.
Ma anche se va detto che la conoscenza diretta è importante, basare tutto il background culturale sportivo sulla propria esperienza o su quella ricevuta come eredità dai propri insegnanti, è un morbo devastante che nel corso degli anni ha impedito un progresso concreto in termini di qualità dell’allenamento in molti, se non tutti, gli SDC.
Programmare ed allenarsi con sistemi coscienti è fondamentale per paesi come il nostro, dove dobbiamo curare la qualità di ciò che abbiamo e non possiamo affidarci, come avviene in altri, alla quantità. Il bacino di pescaggio limitato ci fornisce di atleti che debbono essere curati nei dettagli ed evitare lo “stallo”, ed essere competitivi in campo internazionale. Fossimo in Messico, negli Usa o in Tailandia avremmo un ricambio continuo al quale delegare ogni analisi.
È la storia ricorrente di tanti validi combattenti nostrani i quali impattando contro i propri limiti, magari dovuti ad un background atletico limitato, o si accontentano di rimanere mediocri o abbandonano le competizioni.
Le crescite tecnico-tattica e fisica di ogni combattente, costituiscono le due rotaie di un binario che viaggia dritto verso un obbiettivo importante. Nessuna delle due deve essere mai accantonata troppo per dare spazio all’altra. Solo un buon atleta diventa un grande combattente, salvo eccezioni che non costituiscono in ogni caso dato oggettivo.
Ma allora come organizzarsi per difendersi nella pratica oggettiva da una programmazione difficile se non impossibile?

mangusta77
Lenny Bottai - Livorno 1977.
Pugile professionista in attività.
Camp. Internazionale IBO 2009
Camp. italiano 2010
Camp. Internazionale IBF 2011
Camp. Del mediterraneo Wbc 2012
Camp. intercontinentale IBF 2014
Semifinalista mondiale pesi superwelter professionisti 2014
Campione d'Italia 2016
Tecnico Fpi di pugilato. Preparatore atletico per SDC
Collaboratore gruppo docenti Uipasc (unione italiani preparatori sport da combattimento).

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23 commenti
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Era ora che scrivessi qualcosa. Sono sicuro che la tua partecipazione al forum sarà molto proficua per tutti.
Hai cominciato bene direi. 🙂
Grazie “barabba ladro” (FANTASTICO!) sono anche io molto onorato di partecipare ad un sito ed un forum che hanno un approccio ed un livello top! 😉
Ahahah, mi chiamo Gianluca. E’ che non mi va di perdere il nickname, altrimenti avrei modificato questo. Il profilo al momento non mi permette di modificare email eccetera.
*perdere
arghhhhhhhhhh
nemmeno i commenti si possono modificare. 🙂
😉
Bellissimo articolo, un’attenta analisi della situaziome triste che abbiamo in Italia in questi ambiti sportivi, complimenti
Leggere idee e pensieri che sono comuni anche ad altri è sempre rincuorante, anche in un mondo, come gli Sport da Combattimento in cui “gli atleti vengono più o meno allenati secondo i riti voodoo degli allenatori che avevano”, e dove l’unico fondamento dell’allenamento è far ripetere ai propri ragazzi ciò che si è fatto da atleti (o nei pochi mesi in cui ci si è allenati da amatori), senza alcuna conoscenza teorica del “perché” si facciano determinate cose, e se ciò che si fa è corretto o addirittura deleterio.
Dobbiamo metterci in testa che un combattente, non equivale solo a corda, corsa, sacco, guanti. Ma anzi, almeno un paio di aspetti di quei 4 quattro sono utili solo in misura minore rispetto ad altri. Ma questa è un’altra storia…
Non dimentichiamo però che corda, sacco, guanti e corsa hanno forgiato fior di campioni del mondo. Quindi non è detto che sia assolutamente necessario andare oltre il corpo libero e la palla medica nel caso della boxe. Specie nelle categorie di peso minori.
Però mi interesserebbe leggere pugili e allenatori discutere di quest’argomento, quindi se volete sviluppare l’argomento fate pure. Potreste gettare le basi per qualche vostro articolo futuro.
[quote]Non dimentichiamo però che corda, sacco, guanti e corsa hanno forgiato fior di campioni del mondo.[/quote]
Credo che a forgiare i campioni del passato non siano stati corda, sacco e corsa ad esempio, ma il talento, ossia una miscela alchemica di spirito e mente. Se anzi avessero dedicato meno tempo alla corda o alla corda e più al bilanciere, ritengo che le loro prestazione sarebbero potute essere molto più alte.
Tant’è che negli sport da combattimento, come in tutti gli sport, studi approfonditi (come quello di Lehmann del 1997) dimostrano che i combattimenti sono sempre più dinamici e rapidi, ed in queste condizioni i fattori organico muscolari hanno un importanza sempre maggiore.
Lorenzo Mosca
Credo che a forgiare i campioni del passato non siano stati corda, sacco e corsa ad esempio, ma il talento.
Parole sacrosante .
E cosi sarà sempre anche in avvenire .
Non c’è dubbio che gente come Alì, Tyson e altri campioni avessero talento, ma avevano anche chi li allenava, gli ha insegnato la tecnica e quel talento ha saputo sfruttarlo. E comunque, talento o no, senza allenarsi fisicamente non sarebbero andati da nessuna parte, per il semplice motivo che dall’altra parte c’era un avversario ben allenato.
L’allenamento, inoltre, in tutti gli sport è una forma di disciplina, serve a forgiare il carattere della persona oltre che il fisico dell’atleta. E serviva anche questo.
Conservo i miei dubbi comunque sulla necessità di introdurre i sovraccarichi per i pugili di peso leggero. Come sempre, però, c’è da distinguere tra sport e sport, perché judo e boxe sono diversi e chi li pratica ha esigenze diverse, che richiedono tipi di allenamento diverso. Per cui se al pugile di 50kg l’allenamento con i pesi può non servire, al judoka dello stesso può servire eccome.
Quanto allo studio da te citato, pur senza leggerlo si può comunque affermare che il fatto che i combattimenti si siano evoluti in quel modo non comporta necessariamente che determinati risultati prestativi e di carattere fisico possano essere raggiunti solo introducendo nell’allenamento i pesi. Nelle categorie inferiori uno può ancora fare affidamento solo sul proprio peso corporeo e modificare l’allenamento per massimizzarne i profitti e l’efficacia.
Io penso che sia solo il riflesso paranoico di chi ha paura di ammettere che i tempi cambiano e di conseguenza aggiornare le metodologie di allenamento è un’esigenza primaria di chi vuole competere ad alti livelli.
La corda, il sacco ed il vuoto sono mezzi allenanti, nessuno lo discute, che siano gli unici mezzi per la costruzione o la preparazione di un pugile oggi lo penserebbe solo un folle, oppure uno di quei vecchi allenatori che per “orgoglionare” la sua arretratezza si inventa che fare la sbarra o i piegamenti anziché usare il bilanciere è sempre meglio.
Lo ripeto, mentre le regole della tecnica non sono tracciabili come cosa certa, la metodologia dell’allenamento si.
Qualsiasi attività che migliora atleticamente un pugile lo migliora a prescindere a livello di risposta atletica e quindi fisica. Eccetto ovviamente lavori sbagliati in principio.
Questo argomento lo tratterò nella seconda parte, cioè della necessità di avere dei feedback aspecifici o semispecifici. Per comprendere in fatti e non in parole il progresso di una preparazione o di un blocco specifico.
Sta proprio qui il problema culturale, nell’avere timore di qualcosa di nuovo in tanti, spesso vecchi insegnanti. Lo sport è andato avanti, ma non oggi, anni fa.
I russi da 30 anni combattono e vincono con le stesse metodologie di altre discipline, dall’allenamento per la forza a tutto il resto.
Poi, come detto, sul ring va la situazione, e quindi uno che si allena con sacco, corda e vuoto può battere anche uno ben preparato con tutti i mezzi.
Ma il paragone da fare non è quello. Ma domandarsi quanto potrebbe fare di più, il pugile allenato sempre con i soliti mezzi, se fosse preparato in maniera diversa.
Sono pienamente cosciente che, se oggi sappiamo che avere l’ossessione di correre è sbagliato per vari aspetti, vi sono posto come in Messico dove illustri campioni corrono ogni mattina. Ma li è una questione di quantità a fare la differenza.
Altrimenti vi posso dire che Marquez, più volte campione del mondo, è convinto dal suo allenatore Beristain a bere le sue urine a fine allenamento per reintegrare sostanze perdute nell’allenamento.
Allora cosa vogliamo dire, che tutto ciò è utile?
Beviamo tutti il piscio a fine allenamento?
Non voglio sembrare poco rispettoso verso alcuni vecchi insegnanti, anzi, il problema è che molto di questi, pur non aggiornandosi, rifiutano di farsi affiancare da gente preparata. Di questo gli faccio una colpa!
Quella parte di sport, che è scienza, non è un’opinione. Quindi giocare sulla magia della figura del vecchio Mikey di Rocky che sa tutto e insegna tutto, pur non avendo minima cognizione di cosa e come scientificamente, può essere limitativo se non deleterio.
Nessuno vuole assolutamente negare o sminuire il fondamentale aspetto della specificità tecnica, tattica e addirittura strategica di un qualsiasi sport da combattimento. E’ proprio questo aspetto, cognitivo e volitivo, che ne determina al tempo stesso il fascino e la grande difficoltà di praticare questi sport, salire sul ring e battere i propri avversari. Potremo quasi affermare che gli SDC sono una partita a scacchi giocata coi guantoni per via della complessa interazione che si crea tra i fighter sul ring.
Tuttavia, e qui mi trovo d’accordo con l’articolo di Bottai, tutti questi aspetti sopra citati non dovrebbero disdegnare un livello di preparazione atletica ottimale, che dovrebbe essere una condizione di partenza imprescindibile.
Se ad esempio un Rocky Marciano, o addirittura un Primo Carnera, avessero potuto disporre delle migliori metodologie e protocolli di allenamento attuali, fermo restando il loro talento innato, credo fermamente che avrebbero potuto essere ancora più grandi di quello che furono.
Detto ciò, non ho affermato la relazione che senza bilanciere non si fà preparazione atletica. Il bilanciere è solo uno un mezzo, ancorché ottimo e molto efficacie, per ottenere miglioramenti in alcune caratteristiche organico muscolari.
Anche se non capisco perchè, tanto per citare un esempio, qualora un peso medio utilizzasse il bilanciere per fare squat, un peso piuma non dovrebbe farlo.
Lorenzo Mosca
Capiamoci, io ho detto corpo libero, ma non intendevo solo corsa e piegamenti, né mettevo sul piedistallo quello che Cus D’amato faceva fare a Tyson. Lo so anch’io che i tempi e i metodi si evolvono e sono pienamente cosciente che oggi si usano i pesi nel pugilato. Li ha adoperati anche Tyson col tempo. Conservo i miei dubbi sulla utilità di cose come lo squat in pugili piuma come detto da Lorenzo.
Ma mi piacerebbe avere un esempio di come introdurrebbe questo esercizio, con che metodo e pesi e con quale finalità.
Scusami Deadboy, vorrei capire il motivo per il quale lo squat non sarebbe utile ad un piuma se lo è per un supermedio. Se un metodo è valido per una categoria non può che esserlo per un’altra.
Il mio è un ragionamento terra terra, che parte dal mio modo di guardare al mondo dello striking e che riportato alla boxe può essere errato, ma non credo più di tanto. Cercherò di spiegarmi.
Lo squat lo fai principalmente per fare massa e aumentare i livelli di forza. I benefici a livello di coordinazione e velocità sono una conseguenza dei primi e del lavoro sulla tecnica dell’esercizio. Ma mentre in un pugile di peso elevato, come può essere dai medio-leggeri in su (quindi siamo sui 70 e a salire se non erro) comincia a sentire la necessità di aumentare considerevolmente i propri livelli di forza e magari aumentare la propria massa muscolare, quelli invece più leggeri potrebbero ottenere un aumento di forza e un irrobustimento muscolare sfruttando il solo peso corporeo e intervenendo sulle metodiche di allenamento.
Salendo di peso, invece, l’uso dei pesi trova maggiore senso, sia perché il lavoro a peso corporeo non basta più e non consente elevati aumenti di forza, sia perché il lavoro in palestra consente di allenare gli stessi gruppi muscolari con minore stress sulle articolazioni di quanto magari se ne avrebbe con un lavoro in pista e di pliometria.
Naturalmente la vedo come una cosa progressiva, non come “ah bene, ora che pesi 70kg puoi usare il bilanciere”. Chiaro che se uno ne pesa 60-65, per dire e vuole salire di peso, gli torna utile. Ma se è un ragazzino, pesa di meno e sa che deve rimanere in quella categoria di peso per diverso tempo che se ne fa dello squat?
Lenny, tu invece al peso piuma come glielo faresti usare il bilanciere?
Attenzione, io non pratico la boxe, ma seguo il mondo degli sport da combattimento e ho visto l’evoluzione dei loro metodi di allenamento. Perciò parlo da ignorante perché non la pratico, ma sono curioso e avendo maturato certe convinzioni nel tempo mi interessa sapere il perché di certe vostre scelte. Quindi la domanda di prima e quella fatta a Lorenzo non vogliono essere polemiche, ma mi interessa proprio sapere il perché e il come voi impieghereste i sovraccarichi nell’allenamento di pugili così leggeri.
Non volendo dilungarmi sull’argomento Squat, sia perchè non è questa la sede e sia perchè sto approntanto un articolo sull’argomento, accennerò solo brevemente sul perchè tutti devono fare squat, e ancor più tutti coloro che praticano sport da combattimento.
I motivi per cui tutti devono fare squat sono:
1. Riacquisizione e padronanza di funzionalità di base dell’essere umano
2. Miglioramento mobilità articolare dell’anca
3. Potenziamento nucleo (core)
5. Attivazione neuroendocrina
5. Elevato transfert che squat manifesta verso gesti specifici
4. Potenziamento catene muscolari e progressione della tensione dal centro del corpo verso gli arti (esempio: calci, pugni, ginocchiate, gomitate)
Detto ciò, lavorare sulla forza massimale, o sulla resistenza alla forza, attraverso lo squat, posti i benefici che ho scritto sopra, è validissimo dai pesi mosca ai pesi mosca ai pesi massimi
Lorenzo Mosca
Lorenzo Mosca
Bé, parto dal dirti che la mia opinione è diversa ma il confronto in ogni caso fa sempre bene, da chiunque ponga un pensiero cosciente e non legato a dogmi arcaici.
Per come la vedo tutti i lavori con il bilanciere, sono necessari per la costruzione di un atleta, cosa che per me è fondamentale prima ancora di costruire un combattente, che poi sia pugile o altro. Quando un ragazzo lo cresci come atleta poi diventa quello che vuole, se è un calciatore, un pugile, un pallavolista prima che un atleta, farà solo quello che sa fare per pratica. Ma non risponderà mai agli stimoli nuovi o più impegnativi.
Per come la vedo lo squat è un esercizio basilare per qualsiasi atleta. Non relegherei il tutto alla massa ed alla forza intesa come forza bruta. Per quello che possiamo sfruttare alcune metodiche negli SDC, non è tanto il costruire quanto l’imparare al proprio corpo ad usare la forza.
Lo squat completo ha un trasferì su tutto. Lo fanno pure i velocisti. Quindi i pallavolisti, e i giocatori di basket. Credo sia uno degli esercizi più importanti. Ora poi ovviamente va contestualizzato ed inserito in un programma, ma in ogni caso per risponderti ho un ragazzo che fa buonissimi risultati a livello nazionale che pesa proprio 56Kg, da quando ce l’ho, cioè da quanto ha 13 anni, fa tutto. Dalla pista al bilanciere. Non ti nego che lo invidio quando lo vedo fare serie con 120 Kg e poi balzi sui plinti che io me li sogno.
Non mi illudo che ciò gli dia un pugno letale, la questione è annosa, ma sono certo che la sua condizione atletica gli permette poi di rispondere in maniera assolutamente qualitativa a tutti i lavori che fa. Con bilanciere o senza. E’ una questione, proprio, di capacità di reclutamento e di risposta, di coordinazione inter ed intramuscolare che in chi non ci lavora è indubbiamente minore.
Poi, come ti dico, sono libere opinioni se farlo o meno, ma credo che se esiste la pre-attivazione, sia più che un opinione.
Saluti.
Scusa qualche errore è il maledetto correttore del telefono, in ogni caso ti ho dato un opinione di getto, semplice, le ragioni più accademiche te le ha postate Manipolus.
Vabbé, la teoria me la sono sciroppata, quindi i benefici dell’esercizio li conosco. Non cercavo quel tipo di informazioni, ma una risposta più specifica. Comunque Lenny mi ha risposto e chiarito il suo punto di vista. Gli avevo fatto una domanda analoga proprio nei commenti all’articolo scritto da Manipulus su RawTraining dove mi aveva descritto la sua esperienza personale. Questa risposta che porta ad esempio il suo giovanissimo atleta la completa.
Conservo delle perplessità, però, e sostanzialmente resto della mia idea riguardo ai pesi leggeri.
E si, è vero che lo squat lo fanno nella preparazione di molti sport, ma è anche vero che molte volte si tratta di mezzi squat fatti alla smith machine o di jump squats con 20kg, non di full squat con bianciere libero. Quindi non è detto che per questi atleti eventuali miglioramenti prestativi siano dovuti all’impiego di questo esercizio, ma potrebbero essere il risultato di tutta la mole di lavoro che viene fatta a monte nel corso della preparazione atletica (guarda caso sfruttando il solo peso corporeo) e che magari lo squat finisce per integrare e basta.
Ovviamente io quando parlo di squat, mi riferisco sempre allo squat completo con il bilanciere.
Che poi, come ad esempio i piegamenti sulle braccia o la panca piana, molti facciano lo squat ma poi alla fine viene fatto male, è un altro discorso.
Lorenzo Mosca
Deadboy personalmente ritengo che in una fase di costruzione o stimolo della forza, anche e soprattutto dal punto di vista neurale, sia necessario fare sempre il full squat. Quando invece si parla di trasformare o lavorare quanto creato sugli angoli di lavoro adeguati, lo si può fare con movimenti parziali. Ma solo per quel caso. Ci sono stati test che hanno ampiamente dimostrato che solo il movimento completo ha effettivo transfer su tutto il resto. Se fai solo mezzo squat cresci solo nel mezzo squat e trasformi ben poco.
Un esempio classico è il coniugato, il giorno del max fai lo squat. Il giorno del Dynamic fai il box squat partendo dallo Sticking Point per avere un accelerazione continua e maggiore nel movimento. Ma è un lavoro che tiene conto del fatto che a ridosso, lo hai fatto completo.
Per quanto riguarda invece i balzi con sovraccarichi, io personalmente, non sono un grande estimatore, col bilanciere poi…
Ovviamente, rimangono opinioni.
Grazie a entrambi per le risposte. 🙂