Reclutamento neuromuscolare e ipertrofia - Rawtraining
di Stefano Morini
Fig.1 – Illustrazione di una unità motoria.
Che la disciplina del body building spesso sia particolarmente “ricca” di teorie personalistiche credo si sappia già, che a volte le mille “metodologie” che circolano sanno più di anarchico che di scientifico penso sia inconfutabile e che il famoso luogo comune tipico del “palestrato medio” che “col 75% del massimale si fa ipertrofia” e che “con l’80% invece si fa forza”, e che con la forza non si cresce, immagino rappresenti il punto apicale dell’inconsapevolezza e dell’impreparazione in materia.
Molto spesso, a chi come me vive e lavora in palestra, capita ancora di sentire queste follie che ti fanno venir voglia di cambiare lavoro, ma la cosa che vi assicuro risulta davvero fastidiosa è che molti ragazzi, soprattutto quelli sotto certi punti di vista più indifesi, come neofiti o intermedi, possano venire attratti in modo negativo da ceffi con misure “over-size”. Di fatto in questi casi si trovano spesso invischiati in pseudo- metodiche del tutto inappropriate e improduttive, suggerite da false consulenze che gioco forza e inevitabilmente, non possono che sfociare nel doping per carenza di risultati, dato che molto spesso le misure a cui si erano ispirati non sono il frutto del duro lavoro ma di ben altro.
Il fatto è che negli sport e nella scienza dei sovraccarichi nulla si inventa e molto spesso solo la conoscenza profonda, il pensiero scientifico ed una mentalità aperta possono generare dei passi in avanti sostanziali, anche per quanto riguarda il più agognato dei risultati, ossia l’ipertrofia muscolare.
Molto si sa, tanto altro dobbiamo ancora capire, ma quando si parla di un muscolo e dei meccanismi che ne regolano la crescita si continua a parlare molto di acidificazione, di deplezione dei fosfati, di neurotrasmettitori regolatori, di segnali cellulari, di ormoni, prostaglandine, antiossidanti e molto altro ancora. Tralasciando eventuali ipotesi iperplasiche, che non rientrano negli argomenti di questo articolo, ogni cosa elencata ha probabilmente una sua valenza più o meno rilevante in un processo ipertrofico concreto, ma davvero si continua a parlare troppo poco di reclutamento, ossia della capacità di mettere in gioco di più le fibre che contano e quelle cioè con un più alto potenziale genetico in termini di forza ed ipertrofia. Far imparare al sistema nervo-muscolo il reclutamento ottimale delle fibre “giuste” anche ad impulsi relativamente minori non è compito facile ma rappresenta l’arma più potente per avvicinarsi al proprio potenziale genetico in tempi più brevi. Il problema è che i metodi classici del body building non sono in grado di farlo, o almeno non del tutto.
Credo che in molti ormai siano a conoscenza della differenza tra le varie tipologie di fibre che compongono un muscolo: rosse ossidative dette anche “lente” (tipo I), le intermedie ossidative indirette/glicolitiche (II a) ed infine le fibre bianche o glicolitiche dette anche veloci (II b).
La contrazione volontaria di un muscolo avviene grazie all’azione del sistema nervoso centrale che tramite un impulso nervoso trasferito dalla corteccia motoria verso il midollo spinale discende ancora attraverso i motoneuroni arrivando dritto dritto al muscolo e facendolo contrarre.
Ogni motoneurone e le fibre che va ad innervare formano la singola unità motoria (UM), anche detta porzione neuro-motoria. Come per le fibre, le UM possono essere classificate in UM tipo I, UM tipo II a, UM tipo II b, in realtà sono molto di più considerando tutte le sottoclassi, ma per comodità di concetto considereremo solo le 3 principali.
Capiamo quindi come il concetto di fibra e delle sue caratteristiche morfo/funzionali debba gioco forza miscelarsi con le unità motorie.
Da qui avremo che ogni UM possiede un differente grado di innervazione di più o meno miofibrille a seconda della sua tipologia. Mi spiego meglio. Pare che UM di tipo I siano in grado di reclutare un numero basso di fibre perché ne innerva un numero inferiore rispetto alle altre due tipologie, quindi sono adatte a sforzi non troppo pesanti, lenti e con una soglia di attivazione estremamente bassa, per non parlare del potenziale ipertrofico che è anch’esso limitato.
Le UM di tipo di IIa potrebbero intervenire per dare manforte alle I qualora lo sforzo si faccia più duro e con un reclutamento di tipo intermedio dal punto di vista “quantitativo” e della velocità di contrazione, anche il loro potenziale dal punto di vista dell’ipertrofia è maggiore rispetto alle precedenti. Per ultimo abbiamo le IIb, che intervengono in esercizi dove si richiede molta forza o alta velocità, ma con un controllo molto preciso e caratterizzati da soglia di attivazione neuromuscolare piuttosto alta, quantomeno nei non allenati. Queste hanno il potenziale ipertrofico maggiore in assoluto e sono quelle che ci interessano di più.
Ad ogni UM corrisponde anche un metabolismo energetico che caratterizza le fibre muscolari ad essa collegate. Quest’ultimo ci dà anche un quadro più preciso per quanto riguarda l’affaticamento delle stesse, infatti le UM I sono molto resistenti per via del metabolismo ossidativo (sistema aerobico), le IIa sono una via di mezzo (sistema aerobico lattacido), mentre le IIb sono quelle che si stancano molto rapidamente (sistema anaerobico alattacido, anche se è stato visto che anche queste fibre producono per il 50% lattato). Lo schemino qui sotto è piuttosto esplicativo sull’utilizzo delle varie fibre muscolari e delle varie UM in relazione al tipo di sforzo:
fig.2 – Schema di reclutamento ipotetico delle varie unità motorie (Stuart & Enoka, 1983 – The clinical neurosciences)
In definitiva le nostre diverse fibre muscolari vengono reclutate in base al tipo di sforzo richiesto, ossia se facciamo una passeggiata reclutiamo le tipo I, ma se dobbiamo allungare il passo perché ci sta per cogliere un acquazzone intervengono anche le intermedie, mentre se siamo a pochi metri da un riparo ma inizia il diluvio universale e facciamo uno scatto repentino per non bagnarci allora abbiamo usato anche le bianche.
Attenzione al lattato
Fig.3 – Struttura chimica dell’acido lattico.
Sappiamo che le fibre glicolitiche o le IIa e IIb sono quelle che offrono un potenziale di crescita maggiore, ma sappiamo anche che producono più lattato o acido lattico, quindi tendono ad acidificare la muscolatura quando è sotto sforzo. Il lattato altro non è che il prodotto della glicolisi anaerobica, ossia della scissione dei glucidi che in assenza di ossigeno producono acido lattico entrando poi nel ciclo di Cori rifornendoci di altro materiale glicolitico da riutilizzare a scopo energetico. Di per se l’acido lattico (LA) non è una cosa negativa in termini generali ma è un potente nemico della prestazione muscolare in quanto funge da forte “dissociatore” della contrazione muscolare, che non potrà più essere ottimale e quindi non sufficientemente stimolante in toto. Capite già che siamo di fronte ad una sorta di contraddizione in termini se non facciamo i compiti per bene.
Col 75% 1RM si fa massa?…con la forza non si cresce?
Lavorare col famoso 75% 1RM ad esaurimento, con tecniche di esecuzione imprecise, con archi di movimento cortissimi e quasi ridicoli, nonché con l’inflazionatissimo e mal compreso tempo sotto tensione, non si fa altro che saturare il muscolo di lattato. Risultato? Siamo caduti in pieno nella contraddizione di cui sopra. La stimolazione delle fibre rosse c’è stata in pieno, le intermedie sono intervenute secondo lo schema di reclutamento classico di Hennemann, le bianche hanno lavorato solo nella parte finale della serie. In più per l’effetto del cumulo acidificante e quindi del drastico abbassamento del ph cellulare (ph 6.7-6.4), si sono rese quasi indisponibili ed in tempi piuttosto brevi nel proseguire l’allenamento. Dalla seconda o forse terza serie in poi lo stimolo è già finito, il super-palestrato è già bello che cotto, l’unico effetto che ha ottenuto è una perfusione sanguigna massiccia nella zona lavorata, ma quella non è crescita muscolare ne tantomeno è in grado di attivare sintesi proteica. Se si continua a “pompare” in questo modo scriteriato e ad oltranza si continuerà ad acidificare e a porre le basi per un infortunio, a creare un altissimo tasso di sostanze reattive dell’ossigeno e dell’azoto meglio conosciuti come ossidanti e si perpetua il famoso ed “agognatissimo” dolore muscolare post esercizio (D.O.M.S.) che in realtà non è così produttivo come ci vorrebbero far credere. Infatti l’intenso dolore post allenamento costringerà il malcapitato, vuoi per rispetto del “metodo di allenamento settimanale”, vuoi per recuperare adeguatamente, ad allenare in modo molto dilatato i gruppi muscolari facendolo alla lunga sprofondare nello stallo più assoluto. Allora perché i più continuano ad allenarsi così?…bella domanda.
Tuttavia studi ci suggeriscono che l’LA debba gioco forza raggiungere concentrazioni sostanzialmente alte per innescare un processo ipertrofico in una cellula muscolare, ma questo dovrebbe avvenire parallelamente ad un impegno massimale del sistema anaerobico alattacido o dei fosfati, e con %RM tendenzialmente più elevate, in modo da reclutare più fibre nel minor tempo possibile, ritardando l’eccessiva acidità. Il tutto ovviamente non nel primo giorno di allenamento.
Ad esempio, un autorevole studio di Rogozhkin nel 1976, ci indica che la strada verso l’ipertrofia di un muscolo passa attraverso la demolizione del sistema fosfageno (circa 10-12″ di lavoro) e degli elementi che attiverebbero il genoma e che sarebbero in grado di dare uno sprint alla sintesi di nuove proteine contrattili (ipertrofia). Inoltre %RM più alte attiverebbero livelli serici cronicamente più elevati di testosterone, che udite udite, è molto più importante nell’elevare l’esplosività muscolare e la capacità di reclutamento, nonché la forza muscolare rispetto al suo valore anabolico. Questo ci fa già capire come essere “testosteronici” non significa essere necessariamente più grossi e acneici, ma è sempre più evidente che la natura ha dato un ruolo biologico ben preciso ai nostri ormoni, e come alla fine la forza, il reclutamento, l’esplosività, e le secrezioni ormonali siano tuttei fattori magicamente collegati. Ora probabilmente cominciamo a renderci conto che %RM tendenzialmente più alte, con tempi di lavoro più bassi, e accompagnati da buoni recuperi tra un set e l’altro, costituiscono elementi importanti per ottenere ciò che ogni body builder vorrebbe.
Ma questo non basta ancora…
Controllo tecnico assoluto e tendenziale aumento della velocità come chiavi di volta dello sviluppo neuro-muscolare
fig. 4 – Grafico forza/velocità di Hill. Relazione forza/tempo. Importante risulta reclutare il più alto numero di unità motorie nel più breve tempo possibile.
Tutte le considerazioni sopra non valgono nulla senza un controllo tecnico maniacale e senza una fluidità di esecuzione che ci permetta di esprimere forza nel più breve tempo possibile.
Ebbene si, andare più veloci, o meglio imprimere una velocità relativamente più alta, è un’altra cosa che ci serve. Questo implica però un vincolo importantissimo, senza il quale viene meno anche il concetto di reclutamento, e questo è l’apprendimento della corretta tecnica di esecuzione di tutti gli esercizi, ma soprattutto di quelli ad ampie catene cinetiche, con un grosso potenziale di sviluppo, ossia gli esercizi più abusati e più sbagliati in assoluto: panca, trazioni, stacco e varianti, squat.
La tecnica di esecuzione ed un corretto apprendimento di uno schema motorio, ci permetteranno nel tempo di padroneggiare intensità, velocità e variazioni di “scossa” nonché di innalzare la qualità finale dell’allenamento stesso.
Ambe due richiedono studio, approccio scientifico e disponibilità di professionisti adeguatamente preparati, ma soprattutto dedizione e applicazione. Senza tecnica e senza esplosività, viene meno un importante fattore di volta per tutti quelli che guardano all’ipertrofia massima come un processo sul lungo periodo, e cioè imprimere potenza e attivare in modo estremamente rapido la frequenza di scarica. Le esercitazioni con una elevata frequenza di scarica sono estremamente utili nell’acquisizione di massa attraverso incrementi progressivi di forza muscolare, una sorta di ipertrofia funzionale alla forza. Questo concetto dovrebbe fissarsi ben benino nelle testoline di tutti quelli che nei corsi più disparati del fitness commerciale, propongono esercitazioni pluri-funzionali, dato che alla fine della storia spesso non si capisce “funzionali a cosa”. Tutto ciò si traduce anche in una sorta di “sblocco” a livello degli organi del Golgi e della cosiddetta inibizione autogena che spesso non consente di lavorare a pieno delle proprie potenzialità. Tutti infatti devono prima o poi fare i conti con dei speciali organelli di protezione inibitoria. Questi hanno il compito di registrare a livello muscolare le tensioni che si producono e di valutarne la pericolosità, molto spesso disattivando la muscolatura per via riflessa, inibendo una contrazione ritenuta eccessiva e quindi pericolosa.
L’inibizione autogena ha una soglia molto bassa nei neofiti ma anche negli intermedi, ma lavorando con tecnica corretta, esplosività e con carichi tendenzialmente più alti, è possibile alzare tale soglia. Anche lo stretching aiuta molto, ma più verso l’inibizione di altri meccanismi che riguardano i fusi neuro-muscolari che invece inibiscono per evitare eccessivi allungamenti. Pertanto essere padroni del pieno reclutamento neuromuscolare consente un’attivazione ottimale anche con carichi minori. Ciò inoltre permette di ottenere un completo stimolo dei muscoli interessati allenandosi “meno” per quanto riguarda la singola seduta di allenamento, consentendoci però di farlo di più a livello settimanale senza esasperare i recuperi. Chi usa testosterone esogeno o anche alcuni anabolizzanti, sente già queste cose che ho appena elencato quindi per loro queste considerazioni non valgono dato che le sperimentano già in modo artificioso. Anche su questo argomento ci sarebbe da dire molto ma magari lo farò in un altro articolo.
Lavorare meglio ottimizzando i tempi totali, ci consente di portare il muscolo a cedimento positivo ad ogni serie, con buona pace di uno sviluppo muscolare denso, profondo, naturale e non “gonfio” tipico di uno sviluppo muscolare di tipo miofibrillare e non sarcoplasmare.
Ecco dunque l’importanza di questo genere di lavoro per tutti quelli che desiderano una qualità muscolare degna di nota, ma soprattutto, e questo non mi stancherò mai di sottolinearlo, per tutti coloro che attraversano i primi 3-4 anni di esperienza di allenamento serio con i pesi… altro che le ripetizioni ultra-slow dei culturisti!
Fig.5 – Esempio di full squat.
Conclusioni
Concludendo, in questo articolo abbiamo visto come educare il proprio sistema nervoso-muscolare sia estremamente importante, metterlo nelle condizioni di dare il massimo col minimo sforzo, renderlo cioè efficiente e non efficace verso gli stimoli e le risposte che da esse ci attendiamo. Abbiamo visto che:
grazie alle %RM cosiddette di “forza” possiamo ottenere dei benefici potenzialmente migliori in termini di sviluppo muscolare;
l’eccessiva produzione di lattato non è sempre così produttiva;
essere più esplosivi e veloci sotto controllo è determinate per imparare a reclutare e quindi sprigionare tutto il potenziale muscolare.
In ultima analisi c’è anche da dire che risulta indispensabile inglobare il tutto in un piano allenante che sia costruito sul soggetto e che rispetti le sue caratteristiche nonché il suo livello atletico attuale, proprio per massimizzare il lavoro in modo corretto e senza bruciare le tappe. Le conseguenze di questi approcci non potranno che essere positivi. Essi si tradurranno in una migliore qualità degli allenamenti, minor tempo di recupero, meno dolori e più possibilità di avvicinarsi al proprio potenziale muscolare in tempi relativamente brevi e senza fa ricorso al doping. Tutto questo senza considerare il grosso spessore tecnico-atletico che si andrà a costruire in un determinato soggetto.
Va infine ricordato tuttavia, che risulta importante anche saper contestualizzare e che alcuni concetti, seppur validati, non per forza debbano andar bene per ogni situazione, ma questa per me rappresenta un’ovvietà. Ad esempio, rimanendo nel settore body building, se andassimo ad analizzare il caso di un culturista già formato e a poche settimane da un contesto di gara, è ovvio che dovrà necessariamente giovarsi di esercitazioni completamente differenti ed estremamente personalizzate in base alle sue carenze e caratteristiche puramente estetiche.
stefanomorini
Coach Stefano Morini. Dottore in scienze e tecnologie del fitness e dei prodotti della salute.
Personal trainer e preparatore atletico pluricertificato, Allenatore Fipl (2010-11-12)
Coach della SM POWER TEAM di raw powerlifting di Ancona.
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11 commenti
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Stefano bell’articolo, ma potrai benissimo immaginare che nn tutti sn in grado di trarre le giuste e dovute conclusioni limitandosi alla lettura di belle parole… la gente ha bisogno dei numerini, se nn nello specifico della serie “copiate sto schema e fatelo stop.” per lo meno in vie generali…
Per cui sarebbe veramente bello e pertinente se tu potessi regalarsi un esempio molto superficiale su un atleta medio… x essere più pratici semmai proprio del tuo sport…
Provando a fare quello ke ti kiedo in queste due righe lascio la mia valutazione, precisando che è assolutamente un giudizio che nn tiene conto di queste righe:
“In ultima analisi c’è anche da dire che risulta indispensabile inglobare il tutto in un piano allenante che sia costruito sul soggetto e che rispetti le sue caratteristiche nonché il suo livello atletico attuale, proprio per massimizzare il lavoro in modo corretto e senza bruciare le tappe.”
Allora la mia proposta è questa, Le giuste fibre e le giuste forze a tempo debito per cui:
-Forza esplosiva
-Serie con Ripetizioni più pesanti (5-6)
-Lavoro sulle IIa andando sulle (8-12)
-Famosi (Finishers) volendo di + esercizi in circuito in cui per serie manteniamo (20-30) reps
Il problema principale che l’utente medio prova metodologie d’allenamento senza lo sfinimento fino all’ultima ripezione, e proprio la mancanza dell’effetto pompaggio e dei dolori muscolari post allenamento. Questo purtroppo sembra essere il metro di valutazione dell’allenamento svolto. Sto cominciando da poco a scontrarmi con questa realtà ed effettivamente la critica che mi viene fatta più spesso dai miei “clienti” è proprio: ma così mi sembra di non lavorare, non mi sento il muscolo gonfio!
Scusate, ma rileggendo il commento che ho scritto mi sono accorto che è scritto in un Italiano pessimo e sgrammaticato! chiedo scusa
be
ciao Stefano, complimenti per l’articolo.
Mi spiegheresti però questa frase?
“Lavorare meglio ottimizzando i tempi totali, ci consente di portare il muscolo a cedimento positivo ad ogni serie, con buona pace di uno sviluppo muscolare denso, profondo, naturale e non “gonfio” tipico di uno sviluppo muscolare di tipo miofibrillare e non sarcoplasmare.”
1. Cosa intendi per ‘ottimizzare i tempi totali’ e come si ottimizzano?
2. Cosa sarebbe il cedimento positivo e come si realizza?
Grazie 😉
capisco l’esigenza dei “numeri” ma buttarli giù anche in senso generico credo che serva a poco e si rischia di prevaricare quello che invece l’articolo vorrebbe apportare e cioè chiavi di lettura.
Ad ogni modo entrando più nello specifico credo che occorra ciclizzare o periodizzare, gestire correttamente i parametri di allenamento, valutando anche lo stato attuale del soggetto in questione. Mi spiego meglio:
Nell’articolo parlavo di capacità di reclutare meglio le fibre che contano, e questa è una capacità non facile da ottenere se non attraverso apprendimento tecnico corretto e anni di lavoro corretto.
Quindi poniamo il caso di un neofita che si vuole approciare ad un lavoro serio con i pesi è ovvio che si debba “programmare” cercando di condizionarlo in primis,tanto quanto le sue carenze o caratteristiche lo rendano necessario, in seguito si potrebbe fargli apprendere le corrette tecniche soprattutto di panca, stacco, squat, trazioni, distensioni ecc e farlo lavorare con assoluto controllo e ripetizioni più alte. La fase successiva sarà quella di farlo accellerare dominando la tecnica, renderlo più veloce e quasi reattivo, ancora successivamente quando sente il gesto, e ogni singola ripetizione diventa “volontaria” allora credo si possa proseguire somministrando peso, ripetizioni più basse ecc.
Questo esempio di schema di lavoro, seppur sintetico, credo sia più esplicativo dei numeri.
Saluti.
Rispondendo a Bomb Jack:
Quando parlo di ottimizzazione dei tempi di lavoro mi riferisco sempre al fatto di evitare di accumulare serie su serie a casaccio, acidificando e mettendo prematuramente le fibre che contano troppo in fretta fuori gioco e quindi rendere non del tutto ottimale l’allenamento.
Lavorando “meglio” ci consente di ottimizzare i tempi di lavoro (con meno di più) e i conseguenti recuperi, nonchè lavorare di più sulle fibre tendenzialmente “bianche”.
Quando parlo di cedimento positivo intendo il fatto di allenare bene e fino all’ultimo ogni singola serie, spingendo si ma sempre senza perdere tecnica e senza stiracchiare in modo assolutamente inguardabile una ripetizione provocando molto spesso inutili accumuli di materiali di scarto e di lattato che invece di apportare benefici il più delle volte sono controproducenti, senza considerare poi il fatto di rischiare infortuni.
Saluti.
un cedimento tecnico insomma… e poi il fatto di andare con ripetizioni di qualità: poche reps, carichi alti, accelerando il carico il più possibile. Giusto?
con reps basse per il numero di serie segui la tabella di Prilepin? (io mi oriento con quella)
Ciao, grazie!
Si bravo, Quelli che hai elencato sono, secondo me, dei parametri corretti compresa l’applicazione della prilepin.
Saluti.
Ad oggi è possibile misurare direttamente l’ attivazione muscoare?Come? con che precisione?
bell articolo davvero coach.. mi chiedevo se queste linee guida,che reputo fondamentali, siano proprie del GVT a tuo parere?
GRAZIE COACH