L’allenamento negli Sport da Combattimento è arte o scienza? - Rawtraining
Quando Hegel incontra Mayweather e McGregor
di Lorenzo Mosca
Questo articolo sancirà finalmente l’unione tra la Filosofia e gli Sport da Combattimento, (da ora in poi abbreviati con SDC), due mondi che parrebbero essere totalmente agli antipodi. Ma forse non è così. Seguiremo le logiche filosofiche di Giorgio Guglielmo Federico Hegel, e specificatamente la sua celebre dialettica. Si svilupperà quindi partendo da un argomento, che verrà presentato attraverso una tesi, la quale dovrà annullarsi nel proprio opposto, l’antitesi, ma proprio in quel frangente entrambe le preposizioni potranno (forse) essere superate nella sintesi.
Durante questa rotta ci interrogheremo e cercheremo di fornire la nostra visione dell’allenamento negli Sport da Combattimento. Il tema di partenza sarà: “Ma l’allenamento negli SDC, è un’arte o una scienza?“
Raccolgo quindi con piacere il testimone, dopo il primo articolo di Lenny Bottai sull’uso intelligente degli strumenti di allenamento, e mi accingo ad intraprendere il cammino che dovrebbe condurci alle radici metodologiche dell’allenamento.
L’allenamento è un’arte
“L’allenamento è principalmente un atto di fede”. Così si esprimeva, nel 1954, Franz Stamfl, uno dei grandi allenatori di atletica del secolo scorso. Ecco la nostra tesi di partenza. Cercheremo di argomentare per dare valore a questo assunto, che l’allenamento attiene più all’estro e all’intuizione che ad algide regole e a schemi asettici e codificati.
Molti potrebbero esser gli argomenti a favore di questo assunto e la maggior parte di questi verte intorno a grandi uomini dello sport che sono stati, nel loro campo, grandi innovatori se non addirittura rivoluzionari, precursori e antesignani di idee e metodi che si sono affermati in seguito grazie alle loro intuizioni, e il più delle volte allenatori di grandissimi campioni che ne sono stati delle pietre miliari e che hanno ridefinito queste attività.
Perché lo sport è un’arte, anche in quanto attività umana, e proprio coloro che hanno capito profondamente gli uomini, oltre a raggiungere il cuore di queste attività, ne sono stati i grandi artisti.
Come il nostro calabrese Angelo Dundee, all’anagrafe Angelo Mirena, il celebre allenatore di Mohammed Alì. Nella sua lucida mente aveva capito un paio di cose, prima tra tutte che l’intelligenza vince sempre la forza. E poi aveva capito gli uomini, anche quando erano istrionici superbi e teatrali come questo giovane promettente Cassius Clay. Aveva intuito che imbrigliare il pugilato in atteggiamenti fissi, e il più delle volte fondati sul mero prendersi a cazzotti finché uno dei due non cadeva al tappeto, non permetteva di svilupparne tutta la vigorosa potenzialità. E aveva anche intuito che il giovane Clay non era tipo che avrebbe facilmente modificato il suo stile guascone ed altezzoso con i richiami. Quindi lo indusse ad essere sinuoso ed a schivare con il busto semplicemente elogiandolo quando lo faceva, ma mai richiamandolo quando non lo faceva. Il risultato delle intuizioni tecniche e tattiche di Dundee, possono condensarsi nel famoso “Rumble in the jungle”, la “lotta nella giungla”, che nel 1974 definì la storica vittoria di Alì contro Foreman nella cornice africana di Kinshasa. Da quel giorno infatti il pugilato non sarebbe stato più lo stesso, anche grazie ad Angelo Mirena, detto Dundee.
L’allenamento è un’arte perché molte volte le intuizioni degli allenatori ne sono il motore, anche degli sviluppi scientifici successivi. Cambiamo sport e prendiamo un altro nostro vanto, questa volta nell’atletica leggera, l’ascolano Carlo Vittori, reso celebre dall’essere stato allenatore e artefice del grande Pietro Mennea, la “freccia del sud”. Nella preparazione atletica Vittori è stato sicuramente un originale, con la sua impostazione fondata sul grande volume, strutturato con l’uso massivo di ripetute alattacide e lattacide ad intensità massima e recupero completo. Metodi che oggi ci appaiono come dati di fatto, ma che tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso non lo erano affatto.
Conoscenza profonda, esperienza sul campo, intuizione geniale, e capacità comunicativa potente, sono il discrimine tra un semplice allenatore ed un artista dello sport. Ciò ha determinato glorie e fortune di molti uomini, decretando la validità o meno di idee, teorie e metodologie.
Per la serie “li riconoscerete dai loro frutti”, gli artisti dell’allenamento vengono incensati e ricordati proprio grazie ai successi portati a casa dai loro allievi e sintetizzati dalla massima “ho allenato tanto ed i miei atleti hanno vinto tanto. Quindi il mio metodo è quello giusto”. Si dà per quindi per assodato un rapporto di causalità tra le metodologie degli allenatori ed i risultati.
Anche perché, in uno sport unico e affascinante come quello da combattimento, è praticamente impossibile ridurre tutto ad un asettico paniere di numeri e dati, in cui vi si dovrebbe trovare la formula della vittoria. Questo perché le variabili in gioco non sono solo molteplici, ma molte sono legate ad aspetti psicologici, di carattere e di personalità, sottoposte a passioni robuste e travolgenti. E con l’ulteriore difficoltà, se tutto il resto non bastasse, della dinamica inversamente proporzionale della lotta dell’uomo contro l’uomo, in cui un vantaggio per l’uno si traduce in uno svantaggio se non proprio un danno per l’altro. Quindi risulta praticamente impossibile ridurre tutto ad un asettico paniere di numeri e dati, in cui vi si dovrebbe trovare la formula della vittoria. Se esistesse questa fantomatica formula, sarebbero tutti campioni. E quindi non lo sarebbe nessuno. Proprio per queste ragioni, l’allenatore all’angolo del ring, o fuori dalla gabbia, o ai bordi della materassina, così come il combattente dentro, rimane in fondo un artista. Colui che, avendo valutato con prontezza, analizzato con acume, applicato con estro, può essere necessariamente il fattore decisivo di una vittoria o di una sconfitta.
Ecco perché l’allenamento è un’arte.
L’allenamento è una scienza
“Il problema non è che molti combattenti non abbiamo la volontà di allenarsi, è che non sanno come ci si alleni in maniera intelligente. E le fonti a cui i combattenti si rivolgono per saperlo, sono ugualmente intrise di approcci insensati e stupidi all’allenamento”. In questi crudi termini si esprime Joel Jamieson, uno dei più famosi allenatori di MMA negli USA, autore di numerosi articoli e pubblicazioni sul tema preparazione atletica negli SDC. Questa sarà la nostra antitesi.
Ribaltiamo completamente il discorso affrontato nel capitolo precedente, l’allenamento non è affatto un’arte, è una scienza, e come tale deve essere analizzato, valutato e compreso. Come ogni aspetto scientifico l’allenamento deve seguire il concetto di “dose – risposta”. Per ottenere il risultato X, è necessario rispettare il parametro Y, il tempo Z, il recupero W. Punto. Così possiamo essere sicuri di rispettare il protocollo scientifico utilizzato, protocollo che ha una validità fornita dagli studi che ne confermano l’utilità.
Per rendere il tutto brutalmente chiaro e semplice, mi servirò dell’esempio della pasta, rubandolo a uno dei più famosi ricercatori italiani, Gian Mario Migliaccio. Se volessimo cucinare in maniera perfetta la nostra pasta, ci basterà seguire fedelmente le istruzioni che troviamo sulla confezione: acqua a 100 gradi, pasta ammollo per 8 minuti, ed il gioco è fatto. Perfetto esempio di dose risposta. I problemi iniziano quando volessimo fare gli “artisti”, e allora decidiamo di non aspettare i 100 gradi, ma di inserire la pasta a 80 gradi. Per quanto tempo adesso la pasta dovrà rimanere in acqua? Più o meno di 8 minuti? E come sarà il risultato? Se, come prescrive il nostro essere italiani, la pasta ci piace buona e al dente, meglio non improvvisarsi artisti in cucina ma seguire la dose risposta prescritta. Stessa cosa nell’allenamento.
L’allenamento è una scienza perché presuppone una conoscenza perfetta del corpo umano e del suo funzionamento, quindi non può prescindere da anatomia, biomeccanica, biologia, biochimica, fisiologia. E perché segue necessariamente un rapporto causale tra allenamento e risultato. La famosa dose – risposta.
Siamo invece sicuri al di là di ogni dubbio che negli allenamenti degli artisti, anche quando i loro campioni vincevano, vincevano “grazie” ai loro allenamenti o “nonostante” i loro allenamenti? Non è che in quel caso il rapporto era “casuale” e non “causale”?
Per rimanere in tema, il famoso “metodo Vittori”, con cui Mennea ha vinto tutto, non è che funzionava solo su di lui per via di caratteristiche biogenetiche uniche? Visto che, continuando a somministrare quelle metodologie, la nostra atletica leggera ha un tasso di infortuni davvero troppo alto, soprattutto quando escono categorie giovanili e raddoppino il volume di allenamento settimanale?
Il metodo scientifico è la modalità tipica con cui la scienza procede per raggiungere una conoscenza della realtà. Esso consiste, per un verso, nella raccolta di dati empirici sotto la guida di un ipotesi, per l’altro verso, nell’analisi matematica e rigorosa di questi dati associando esperienza e dimostrazioni. E i benefici che questo approccio ha dato e sta dando allo sport sono incommensurabili. Le evidenze scientifiche sono i modelli di riferimento per migliorare le nostre prestazioni. Anche negli sport da combattimento, che sono forse la massima espressione della molteplicità delle prestazioni umane, dovendo testare in maniera vorace tutti i sistemi energetici in contemporanea.
Negli ultimi decenni si è assistito ad una crescita esponenziale di studi e ricerche sul tema, e ciò ci ha permesso di rivedere molte concezioni che sembravano granitiche. Ultimamente, ad esempio, si è raggiunta una ottima penetrazione dei tre sistemi energetici umani e dei metodi più efficienti per allenarli, si pone sempre di più l’accento sull’intensità a scapito del volume, e si sono aggiunte conoscenze nuove nel campo della nutrizione e della supplementazione per miglioramento di prestazioni e di salute. Inoltre il metodo scientifico ha una capacità di rigenerazione che l’allenamento tradizionalistico non possiede. Infatti, per sua natura, ogni nuovo dato o studio o conoscenza, corroborata dalla sperimentazione, può mettere in discussione precedenti conoscenze, fungendo da importantissima auto innovazione. Prendiamo l’ucraino Vladimir Nikolaevich Platonov, padre della periodizzazione e della programmazione dell’allenamento. Pubblicando i suoi ultimi testi, ha confutato persino se stesso sostenendo che alcune sue idee e concezioni, allo stato attuale della ricerca, risultano superate. Quando si dice onestà intellettuale e approccio scientifico.
Le evidenze scientifiche si basano sui dati. Oramai anche l’ultimo podista della domenica, potrebbe tranquillamente snocciolarti tutti i dati della sua corsa, frequenza cardiaca, passo, falcata, tempistiche varie. Per non parlare degli sportivi di alto livello che monitorano costantemente massimo consumo di ossigeno, lattato ematico, potenza erogata, eccetera. E negli SDC come siamo messi? Dubito che la maggior parte degli atleti, anche di alto livello, conosca perlomeno il proprio battito a riposo, figuriamoci tutto il resto. In molti casi, senza alcun supporto di evidenze scientifiche, permangono miti e leggende da far impallidire, per arretratezza, anche il seicentesco Galileo Galilei. Pensate che in una delle più famose palestre di Amsterdam di Kickboxing e Muay Thai, davvero uno dei luoghi sacri mondiali per questi sport, viene vietano agli atleti di bere durante l’allenamento. Comportamento che non solo non ha alcun fondamento, ma che va contro tutti gli studi che invece confermano come la disidratazione sia una condizione da evitare il più possibile.
Negli SDC tutto ciò risulta essere molto più sedimentato. Tramandandosi più per diffusione diretta che per formazione comunitaria o centralizzata, ogni allenatore seguirà le orme del proprio allenatore, le sue idee ed i suoi metodi, anche perché magari sono stati ciò che egli stesso ha fatto da atleta e magari lo hanno portato a vincere. E noi tutti sappiamo quanto sia praticato l’aspetto “scaramantico” tradizionalista, che porta a rifare rivivere ricreare le stesse situazioni che hanno portato la vittoria, come un eterno rivivere il medesimo. Ciò favorisce una deposizione profonda e immutata delle conoscenze. Quasi come nella famosa scuola pitagorica, fondata a Crotone, in cui alcuni allievi non potevano assolutamente interloquire con il maestro, essendo il loro unico dovere quello di ascoltare.
Mancanza di formazione strutturata e moderna, e tradizione orale con punte di scaramanzia, potrebbero essere due dei principali aspetti che favoriscono la persistenza di pratiche inutili, dannose o addirittura antiscientifiche. Ragion per cui risulta essere determinante solo un approccio che si basi sulle evidenze scientifiche. Perché l’allenamento è scienza.
L’allenamento è un’arte che si basa sulla scienza
“L’allenamento è un’arte che si basa sulla scienza… ed un allenamento senza valutazione è un itinerario senza meta”. Con questa acuta definizione di Carmelo Bosco, possiamo dare il via all’ultima tappa del nostro divenire. È venuto il momento di superare la tesi “l’allenamento è un’arte”, e di negare anche l’antitesi “l’allenamento è una scienza”. E di tornare all’unità che racchiude entrambe le proposizioni, la nostra sintesi, che infatti sarà “l’allenamento è un’arte che si basa sulla scienza”.
Tesi e antitesi erano a loro modo corrette nei modi, ma entrambe non riuscivano a cogliere la totalità degli aspetti inerenti l’allenamento degli SDC. Nell’allenamento come arte si dava grande risalto all’esperienza diretta del singolo e alla capacità di cogliere aspetti psicologici e spirituali legati all’atleta, ma il rischio era quello di allontanarsi dall’oggettività biologica e di arrivare a derive antiscientifiche. Nell’allenamento come scienza il focus era legato ad aspetti metodologici scientifici e replicabili erga omnes, senza considerare per nulla la miriade di fattori non strettamente determinati da parametri fisiologici, con il rischio di correre dietro alla formula del combattente perfetto come se esso fosse un asettico automa.
La nostra sintesi invece recupera esperienza ed evidenza, recupera gli SDC nella loro meravigliosa visione d’insieme tra aspetti fisiologici, tecnici e psicologici, perché comprende che solo creando armonia tra le due componenti, si può davvero raggiungere un risultato di altissimo livello, non più tirare fuori 1 campione ogni 100, ma 90 campioni ogni 100.
Senza l’esperienza e il tocco artistico, la scienza rimane astratta e vuota, ma senza la scienza, l’esperienza diventa fissità, ripetizione di schemi desueti e corre il rischio di tramandare vere e proprie leggende. Solo con la sintesi positiva che recupera il buono in entrambi gli approcci e crea organicità tra i due aspetti, abbiamo un vero piano efficace di allenamento.
In questo modo può crearsi un circolo vizioso positivo fatto di valutazione, pianificazione, aggiustamento, realizzazione. Grazie alle conoscenze scientifiche, agli studi basati sull’evidenza, all’occhio esperto e all’estro dell’allenatore, possiamo davvero raggiungere l’optimum. Con la certezza di continuare a migliorarsi. Perché l’allenatore capace non è quello che non sbaglia, ma quello che sbaglia sempre di meno migliorando sempre di più.
Perché oggi abbiamo scoperto che l’allenamento è un’arte basata sulla scienza. Evviva Hegel. Evviva gli Sport da Combattimento.
manipulus
Lorenzo Mosca, con una passato agonistico nella Kickboxing e nel K-1, classe 1984, medaglia di bronzo europeo dilettanti di K-1 Rules nel 2008, campione italiano pro di K-1 Rules nel 2009, con all’attivo 40 match tra Kickboxing, K-1 Rules, Muay Thai, Full Contact e Savate Pro.
Ora allenatore e preparatore atletico di sport da combattimento, allenatore di CrossFit (Level 2), arbitro e studente in nutrizione. www.manipulusmosca.com