Anatomia Vs Anatomia Funzionale - Rawtraining
di Dario Mirra
L’anatomia, la scienza che studia la morfologia, la forma e l’organizzazione degli organismi viventi, ha avuto sin dalla sua nascita come strumento principale di indagine, la dissezione. Si è cominciato a “tagliare” in superficie, poi sempre più in profondità, nel tentativo di acquisire nuove informazioni sul nostro corpo e sul suo funzionamento.
Ciò ha portato a parcellizzare ogni cosa, ogni organo, ogni muscolo, apportando innumerevoli nuove conoscenze relative all’organismo, ma spesso facendoci perdere l’essenza stessa dell’uomo come “unità”.
L’allenamento ha seguito un percorso analogo, cercando di isolare il muscolo o addirittura gruppi di fibre di un determinato muscolo, magari provando ad aumentare un dato parametro fisiologico e perdendo di vista il vero obiettivo della metodologia dell’allenamento, la prestazione.
Da quale ottica guardare la prestazione?
La prestazione nella sua unicità non è data dalla somma di diversi parametri, ma dalla collaborazione di tutti i fattori per creare un qualcosa che risulti maggiore della banale somma dei suoi componenti.
La profonda parcellizzazione ha portato invece a concepire l’allenamento come “mio-centrico” in un’ottica che considera l’atleta come una semplice unione di 600 muscoli.
Questo ci ha indotto a compiere numerosi errori tra cui ad esempio potrei citare:
- Praticare il nuoto per trattare una scoliosi dimenticando che le leggi della locomozione in acqua e su terra sono diverse, a partire dal riflesso da stiramento, assente in acqua, e onnipresente nel movimento su terra. Persino nel caso cui si riuscisse a “ridurre” una scoliosi in acqua, il miglioramento difficilmente si ripercuoterebbe su terra, quando si è soggetti a forza di gravità (in posizione ortostatica).
- Isolare il muscolo per aumentare la forza di un dato gesto, dimenticando che il movimento si compie attraverso un giusto intervento coordinato di catene cinetiche. Si pensi all’elettrostimolazione ad esempio, esplosa negli anni ’90. Si riteneva che fosse il futuro dell’allenamento, invece con la pratica sul campo si è osservato che stimolare il muscolo con scariche elettriche non apportava alcun miglioramento al rendimento di un atleta. L’origine del movimento infatti non può essere identificata nel muscolo, dato che quest’ultimo risulta essere solo un semplice esecutore del movimento stesso. Per questo motivo applicare elettrodi per mandare scariche che inducano le contrazioni muscolari, non risulta utile in ambito prestativo. La coordinazione muscolare, elemento determinante per il gesto atletico, va considerata infatti in entrambe le sue manifestazioni principali, quella intramuscolare e quella intermuscolare. Parcellizzando l’allenamento invece si sta di fatto ignorando completamente la seconda di queste due componenti, quando invece essa è alla base di una corretta automatizzazione e rendimento del gesto.
- Pensare che utilizzare i pesi per aumentare la performance sia in qualche modo legato al bodybuilding. Allenate un calciatore o un corridore in sala attrezzi isolando i muscoli, facendolo arrivare a cedimento su ogni ripetizione e vedrete che non durerà molto. Per questo per anni si è detto che i pesi rallentavano e procuravano infortuni, perché per anni si è solo copiato il protocollo di lavoro dei culturisti seguendo le loro metodiche di allenamento mio-centriche. Secondo quest’ultime gli stressors erano tutti indirizzati a sfiancare il muscolo affinché esso supercompensasse producendo la tanto agognata ipertrofia muscolare. I giocatori di rugby o di tennis o di qualsiasi altro sport hanno esigenze completamente diverse e, di conseguenza, anche la funzione dell’allenamento con i pesi all’interno dei loro protocolli assume una valenza completamente differente. Un tennista agonista avrà necessità di allenarsi nella sua disciplina tutti i giorni o quasi. Se gli proponessimo una scheda con stripping, ripetizioni massimali, superset e protocolli tipicamente derivati dal bodybuilding, impiegherebbe non meno di due o tre giorni per recuperare e questo ovviamente sottrarrebbe tempo al suo sport peggiorandone il rendimento complessivo.
- Ritenere che l’aspetto fisico-coordinativo non sia dipendente dallo sport che si considera. Questo potrebbe portare a pensare che un pallavolista possa eseguire lo stesso allenamento di un atleta del salto in alto, o un rugbista possa adottare i protocolli di allenamento di un centometrista. Se ciò fosse vero allora varrebbe anche l’inverso, ma credo sia evidente a tutti che il risultato sarebbe decisamente inadatto a produrre i miglioramenti ricercati negli sport per i quali ci si allena. Per anni i preparatori che venivano dall’atletica leggera hanno dominato il mondo del condizionamento in ogni sport. Ciò però ha portato all’utilizzo di protocolli standardizzati non specifici, che sono stati somministrati indiscriminatamente ad atleti di ogni disciplina. Ed ecco quindi che trovavamo pallavolisti lavorare su andature tecniche perfette, allenamenti svolti esclusivamente a secco, ovvero senza l’attrezzo specifico di gara (come le varie ripetute senza palla o gesti specifici del gioco) e analoghe pratiche riportate senza alcun adattamento direttamente dal mondo dell’atletica. Fortunatamente negli ultimi anni si è avuto il passaggio dalla figura di un tempo del preparatore atletico, a quello che è oggi il preparatore o l’allenatore fisico, che conosce le regole, la tecnica, i gesti specifici e la tattica dello sport per cui deve preparare gli atleti.
Capire la prestazione
Quali sono le caratteristiche sostanziali che differenziano gli sport di prestazione da quelli di situazione?
Gli sport di prestazione sono misurabili: quanto tempo impiego a percorrere una data distanza, quanto lontano riesco a lanciare un oggetto, quanti kilogrammi riesco a sollevare e così via.
Per gli sport di situazione la cosa si fa un po’ più complicata, benché anche questi abbiano parametri che possono essere quantizzati, come ad esempio la velocità di palla che un tennista imprime in un match o le accelerazioni che un calciatore compie in una partita.
Mentre gli sport di prestazione si basano infatti prevalentemente su movimenti specifici, per quanto riguarda gli sport di situazione a questo aspetto si aggiunge anche una forte componente legata all’interpretazione e alla rielaborazione della situazione contingente.
I lanciatori, i centometristi, i saltatori, cercheranno di automatizzare sempre più un gesto per renderlo più efficiente e massimizzare la loro prestazione. Ciò avverrà in parte anche negli sport di situazione che avranno anch’essi a che fare con pattern da automatizzare e da rendere sempre energeticamente meno dispendiosi. Ciò però non sarà sufficiente dato che tali schemi motori andranno sempre adattati alla “situazione”, imprevedibile, che si presenterà durante la gara.
Ecco quindi che il discorso si complica e che ci allontaniamo sempre di più da un contesto semplificato in cui tutto può essere scomposto e trattato come una parte disgiunta dalle altre.
Ogni gesto è peculiare per ogni sport, con un suo timing ben preciso che per sport situazionali dovrà per giunta essere adattato e rielaborato a seconda della situazione contingente.
E in questo contesto dove possiamo collocare il muscolo?
Nello scantinato, ad eseguire senza discutere, comandato a bacchetta dal sistema nervoso!
Tensegrità e sport
Dal punto di vista struttura-funzione possiamo analizzare il corpo adottando due approcci diversi:
- Considerare l’organismo come una somma di mattoni.
- Approcciare lo studio del corpo da un punto di vista tensegrile.
Il primo approccio fa pensare a tanti elementi che si sommano come in una specie di puzzle e questa visione a sua volta ci porta a scomporre il corpo in muscoli, leve con fulcri e resistenze, e ci riconduce quindi all’allenamento parcellare.
Tensegrità è un termine inglese unione dei termini tensione e integrità, coniato da Richard Buckminster Fuller. Nato in campo architettonico, espansosi nel campo artistico e approdato infine in campo medico, specialmente tra le “medicine Olisitche”, dovrebbe ricondurci più alla visione funzionale dell’allenamento.
La tensegrità, se si bada alla logica di costruzione, deriva da due principi base:
- Costo basso e poco materiale.
- Alta efficacia.
Questa potrebbe essere associata a tutte le strutture, intese come organizzazione di elementi con proprietà quali:
- pretensionamento della struttura.
- elasticità intrinseca della struttura.
- forze trasferite a tutti gli elementi della struttura.
- irrigidimento sotto carico della struttura.
A differenza delle strutture “classiche” che sfruttano forza peso e gravità, le strutture tensegrili sfruttano tensione e compressione e sono quasi indipendenti dal peso.
Andrea Vesalio, già nel ‘600 circa, diede idea di sistemi che potessero fornire un’interpretazione olistica del corpo:
- Sistema vascolare.
- Sistema nervoso.
- Sistema fibroso (fascia).
La fascia, il cui compito è stato sminuito nell’anatomia classica e rilegato a tessuto con il ruolo di semplice contenitore, venne rivalutata poi come mezzo di unione tra i vari sistemi.
Ai minimi termini la fascia è una matrice extracellulare (MEC) composta da diverse sostanze, come proteine, PG/GAG (proteoglicani e glicosaminoglicani) e integrine. Tali sostanze sono proteine di membrana che collegano la MEC al citoscheletro, creando così la relazione connettivo-cellula.
L’integrazione tra MEC e molecole di adesione attiva i segnali intracellulari e modifica il citoscheletro. Quest’ ultimo può essere visto come un’impalcatura della cellula e come struttura che dà un’organizzazione alla cellula stessa, con:
- Microtubuli aventi la funzione di tiranti.
- Microfilamenti aventi la funzione di puntoni.
A partire da questa breve introduzione si comprende come anche la Fascia possa essere interpretata secondo due punti di vista differenti:
- Basato sull’anatomia classica, con il compito di dividere in setti, logge, compartimenti.
- Basato sulla visione olistica dell’organismo con il compito di unire il tutto in una sola unità funzionale, per cui avente la funzione di connettere, trasmettere e dissipare le forze interne ed esterne.
Guardandola dal punto di vista olistico la fascia potrebbe spiegare la relazione vera che lega tutte le cellule del nostro corpo e l’essenza stessa dell’allenamento funzionale.
Applicazioni all’allenamento
Allenare la prestazione rappresenta il vero significato dell’allenamento. Se l’allenamento è concepito come un insieme di pratiche che devono creare un adattamento ad un determinato stimolo, viene logico pensare che lo stimolo dovrebbe essere pertinente allo sforzo che si deve compiere e alla prestazione che si vuole migliorare nella sua unicità e complessità. Per questo motivo è giusto mettere al bando le schede da body builder per chi non fa bodybuilding, evitare di proporre allenamenti prestampati o magari copiati da altri sport, evitare di limitarsi ad allenare la corsa in linea e a velocità costante se lo sport di riferimento include numerosi cambi di direzione e accelerazioni, smettere di allenare la resistenza utilizzando approcci da maratoneta e così via. Il passaggio ad una visione olistica dell’individuo richiede un approccio all’allenamento che sia rispettoso della complessità e dell’unità dell’organismo in un’ottica di specializzazione e di adattamento alle particolarità della prestazione ricercata.
Concludendo…
Bisogna abbandonare l’idea ormai abbondantemente superata dell’allenamento settoriale, idea che presuppone una divisione tra parte fisica e parte tecnica, si dovrà infatti cercare quando possibile di allenarle in simbiosi. Per questi importanti concetti i preparatori fisici italiani e non solo possono ringraziare tre noti professori: Carmelo Bosco, Pietro Enrico Di Prampero e Roberto Colli.
Dal mio punto di vista allenare in modo efficace un atleta significa:
- Osservare cosa fa l’atleta in campo praticando il suo sport.
- Capire la sua prestazione da un punto di vista tecnico-tattico e fisico integrando tutte le informazioni acquisite.
- Comprendere gli elementi specifici del suo allenamento evitando di derivarlo semplicemente da sport differenti.
- Comprendere la psicologia dell’atleta, le sue motivazioni e le sue sensazioni per quanto concerne l’attività praticata.
- Garantire all’individuo una longevità sportiva, adottando i giusti metodi per migliorare le sue prestazioni e diminuire i rischi d’infortunio.
- Integrare tutte le informazioni per ottimizzare davvero quello che farà in campo.

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Dario Mirra, Osteopata D.O., laureato in scienza motorie, preparatore fisico per sport individuali e di squadra.

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3 commenti
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ni, condivido solo in parte, nel senso che con questo approccio si ritorna alle situazioni di gioco in cui non si puo’ apprendere ed assimilare un gesto tecnico se non con una quantità enorme di ore pratiche, un qualcosa che rimane in qualche modo subordinato allo stile di vita ed al talento.
guarda l’esempio dei fijiani o dei samoani, palla in mano sono dei giocolieri, nei placcaggi degli animali e atleticamente dei fenomeni e questo perchè nascono, crescono e vivono con la palla ovale in mano, ma questa e’ una situazione irripetibile da queste parti, e quando un ragazzo ha un’esposizione al gioco al piu’ di una manciata di ore alla settimana, senza una competenza motoria piu’ strutturata, senza l’apprendimento di gesti tecnici, generici e specifici, semplificata e lineare, non emergerà nulla di buono in tempi utili.
Se corri male e non metti a posto il gesto tecnico generico in situazioni semplificate, facendo ad esempio le citate andature, non puoi certo sperare che vada magicamente a posto da solo in un ragazzo che sta seduto tutto il giorno e magari fa 4 scatti alla settimana agli allenamenti di squadra.
In una situazione di gioco reale quante palle tocchi? forse 5, forse 10, facendo due conti ci vorrebbe un’anno intero prima che un bambino avesse la possibilità di mettere insieme 100 passaggi e magari riuscisse a farne 2 decenti…
Cosi’ come non è utile fare leg press, allo stesso modo non è utile per un rugbysta amatoriale usare una palla medica da 5kg per simulare i passaggi e illudersi di poter arrivare a farli come Will Genia… quindi anche abbinare i pesi in situazioni di gioco con esercizi funzionali non fa altro che sporcare un gesto non ancora consolidato da quelle migliaia di ripetizioni necessarie.
Condivido anche se penso la forza in uno sport che richiede molta forza non puoi allenarla nello specifico….poi chiaramente dipende da un sacco di variabili categoria,sedute…se non hai ne tempo ne mezzi tutti i bei discorsi vanno a farsi benedire anche perché chi ti paga guarda 2 cose:
-Se la squadra/atleta vince e rende
-Se non si infortunano atleti
Stop!
Il nostro compito ? quello sempre di portare a casa il massimo dagli atleti però qualcosa che realmente serve nella performance che conta!!!!
Per me vale sempre lo stesso concetto ….per migliorare il gesto sportivo devi fare il gesto sportivo….
I samoani sono bravi a giocare a rugby perché giocano a rugby
I brasiliani sono a calcio perché giocano tanto a calcio….
Nei paesi del 3 mondo escono dei fenomeni sportivi senza che debbano lavorare su chissà che cosa….
Ottimo articolo, mi piace l’ottica dell’unità della fascia e delle catene mio- fasciali nell’allenamento. Tanto più che in maniera empirica sfruttiamo questi principi fin da piccoli quando ci “alleniamo” a scagliare un sasso più lontano possibile. Certo che se è già difficile spiegare come muovere il proprio corpo correttamente lo è forse ancora di più programmare l’allenamento. Per fortuna esistono esercizi ( i soliti multiarticolari) che hanno un ottimo transfer su molti gesti atletici proprio perché non assomigliano al gesto stesso, ma il dubbio è sempre quanto lavorare sulla tecnica, quanto sulle caratteristiche fisiche aspecifiche e quanto sugli specifici deficit dell’individuo. Trovo che l’articolo qui sopra offra spunti interessanti. In più se cercate su questo sito ci sono ottimi articoli, come:
http://www.rawtraining.eu/metodi-e-programmazione/allenamento-della-forza-negli-sport-da-combattimento-tra-principi-miti-e-realta/
E l’unica cose che capisco è che il mondo dell’allenamento è davvero complessissimo, non esistono ricette, ma PER FORTUNA non è il mio lavoro. Quindi faccio i complimenti a tutti coloro che sanno gestire una preparazione fisica e spero che l’italia si renda conto di quanta differenza c’è tra questi professionisti e gli innumerevoli improvvisati