Guida agli stacchi - Rawtraining
Stacco al 200%
di Paolo Evangelista
Ringrazio la crew di RawTtraining per avermi dato la possibilità di parlare del mio esercizio preferito: il deadlift, lo stacco da terra. Mi sono innamorato di questo esercizio a 22 anni, adesso che ne ho 41 continua a regelarmi sempre soddisfazioni.
Semplice e brutale, lo stacco da terra è considerato a ragione uno dei migliori costruttori di forza e massa muscolare mai inventati dall’Uomo. La semplicità del movimento, la capacità di coinvolgere quasi tutti i muscoli del corpo, la relativa sicurezza data dal fatto che il bilanciere non può fracassarsi contro di voi rende questo esercizio unico nel mondo dei pesi.
Poiché dovete tirare su da terra un’asta di ferro con della roba dalle parti, è praticamente impossibile non poterlo eseguire: se non avete un rack o un supporto per il bilanciere, se non avete una panca, se vi allenate in 3 metri quadrati e basta… potete comunque fare lo stacco: solo un bilanciere e dei pesi per creare la routine full body più low tech della storia della pesistica: stacco da terra, lento in piedi, stop. Pensate che non funzioni? Pensate male.
Lo stacco da terra ha comunque le sue “regole”, il suo modo di essere eseguito. Questo articolo ha la presunzione di insegnarvi tutto quanto dovete sapere su questo esercizio, tutto quello che avreste voluto chiedere sullo stacco ma che non avete mai chiesto: ho praticato ma anche studiato questo esercizio e, sebbene sia sempre stato molto portato, gli ultimi Kg di massimale derivano dalle conoscenze che troverete scritte qua. Se un soggetto adulto con già 240Kg di massimale riesce ad arrivare a 270Kg, il merito non può che essere dell’allenamento.
Questo articolo avrà raggiunto il suo obbiettivo se in circa 6 mesi riuscirete a sollevare nello stacco il doppio del vostro peso corporeo, garantito!
Però, non fate come quelli che leggono su Internet le più inenarrabili cazzate dandogli credito perché… sono su Internet. Un layout accattivante e l’anonimato possono fregare di brutto. Quelle frasette così sensate, magari con l’imperativo “dovete” può averle scritte un bambino di 10 anni che conosce l’HTML o una semplice autocomposizione di FrontPage e dal vivo gli dareste il credito che si meriterebbe un moccioso di 10 anni. Ma dietro la maschera di uno schermo è facile pensare “l’ho letto su Internet, allora deve essere vero”.
Esercizi noiosi, esercizi ganzi
Molto spesso avrete sentito dire che lo stacco è efficace perché è un esercizio multiarticolare, cioè coinvolge più articolazioni a differenza di un esercizio monoarticolare che ne coinvolge una sola.
Esempi di esercizi monoarticolari sono il curl per i bicipiti e i push down per i tricipiti: i muscoli fanno ruotare l’avambraccio intorno al gomito, un solo giunto lavora e un solo segmento osseo ruota.
Gli esercizi monoarticolari sono noiosi perché le traiettorie sono sempre e solo narcoticamente circolari: provate a scrivere un elenco di esercizi monoarticolari, vedrete che compariranno nomi assolutamente pallosi e non mi interessa partecipare ad emozionanti discussioni su “le croci con manubri su panca piana sono un monoarticolare oppure no?“. Tanto, a me le croci fanno (beep).
Un banale esempio di movimento multiarticolare è l’allontanamento delle mani dal corpo seguendo una traiettoria rettilinea: dovete ruotare contemporaneamente l’avambraccio intorno al gomito e il braccio intorno alla spalla.
In un movimento multiarticolare sono coinvolti almeno due giunti e due segmenti: la mutua coordinazione di questi oggetti permette di ottenere traiettorie rettilinee e in generale curvilinee, impossibili con il precedente tipo di movimento.
E’ l’incredibile computer che abbiamo fra le orecchie che rende banali movimenti che sono invece molto incasinati! E’ facile costruire un servomeccanismo che faccia ruotare un’asta, un vero problema di robotica controllare un braccio meccanico a due giunti per fargli disegnare una retta. Tutti i movimenti minimamente complessi che compiamo sono multiarticolari, proprio perché il corpo umano è fatto da pezzi che ruotano per muoversi o far muovere cose in maniera più o meno rettilinea!
Questo è il motivo per cui gli esercizi multiarticolari sono così efficaci e ganzi: “mimano” azioni complesse facendole eseguire sotto carico in modo da affinare le capacità neuromuscolari. Se infatti andiamo ad analizzare come il nostro corpo reagisce ad uno stimolo, scopriamo che il “miglioramento” è dovuto in massima parte ad un incremento delle capacità “neurali”.
Nel disegno le nostre piccole fibre muscolari sono assimilate a schiavi egizi costretti a spostare massi per costruire una enorme punta per qualche coglione di Faraone. Un esercizio complesso con un bel carico migliora i seguenti meccanismi:
- Il reclutamento: imparate ad utilizzare più fibre muscolari, detto anche coordinazione intramuscolare o spaziale.
- La coordinazione intermuscolare: imparate ad usare più muscoli per una stessa azione.
- La sincronizzazione: imparate a contrarre all’unisono le fibre muscolari, è detta anche coordinazione temporale.
- La massa muscolare: aumenta la grandezza dei vostri muscoli, cioè la potenza del motore.
C’è bisogno compiti complicati per poter attivare al meglio queste qualità in modo da poterle utilizzare nelle attività che ci piacciono.
Lo stacco da terra nella sua essenza è “venire su da terra e mettersi in piedi con un peso in mano” ed ha moltissimi punti in comune con migliaia di gesti atletici dei più svariati sport, ancor più dello squat: allenare lo stacco permette di migliorare, in condizioni controllate, le abilità nel proprio sport. Come si suol dire, lo stacco ha un ottimo transfer in quanto ciò che si è ottenuto con questo esercizio può essere “trasformato” e “trasferito” ad altri.
Muscoli e catene
Ok, lo so che tutto questo sembra una lezione di Anatomia del Liceo però guardate quanti sono i muscoli delle gambe, ed ho indicato solo i più rilevanti!
Adesso, provate questo difficilissimo esperimento: alzatevi dal loculo in cui state lavorando (non negate, la maggior parte di voi svolge un tristissimo e squallido lavoro da impiegato davanti ad un monitor con sopra dei numeri disegnati a lapis, perciò una
botta di vita non può che farvi bene…), accucciatevi e saltate verso l’alto.
Questa semplice azione è possibile grazie alla catena cinetica posteriore, l’insieme di tutti i muscoli degli arti inferiori e della schiena: un movimento multiarticolare dove sono stati coinvolti tre giunti (bacino, ginocchia, caviglie) e quattro segmenti ossei (spina dorsale e bacino, cosce, gambe, piedi). Non sono stato sicuramente preciso nell’uso dei termini, ma preferisco essere chiaro piuttosto che annodarmi nei vocaboli.
Un banale salto da accovacciati coinvolte praticamente tutti i muscoli delle gambe e della schiena. Tutti!
E la schiena?
La spina dorsale non entra attivamente in gioco nella catena cinetica posteriore: quando lanciate una palla medica dietro di voi è il bacino che si estende indietro rispetto ai femori, la spina si “appoggia” al bacino e lo segue nella sua rotazione mantenendo inalterata la sua curvatura. Un corretto movimento prevede, perciò, che spina e bacino si possano considerare un blocco unico.
Lo stacco fa male alla schiena?
Un esercizio in cui è necessario sollevarsi da terra tenendo fra le mani un carico pesante non può non sollecitare la schiena! Non voglio comportarmi come quelli che minimizzano i problemi o esaltano solo i pregi: lo stacco può essere pericoloso per la colonna vertebrale. Ciò che conta è minimizzare la probabilità di farsi male per portarla al livello di attività comuni quali correre o saltare.
Tenete a mente che la LBPS, Low Back Pain Sindrome, la sindrome del mal di schiena mette a letto milioni di persone ogni anno e di sicuro solo una percentuale infinitesima è composta da stacchisti! Per evitare di rompersi qualcosa è necessario, però, conoscere il qualcosa che può rompersi. Mi spiace per voi, ma sono necessarie delle nozioni di anatomia della spina dorsale…
I mattoncini di questa costruzione
Nel disegno gli elementi di base della spina dorsale: le vertebre, dei gioiellini di ingegneria evolutiva che costituiscono i mattoncini di questa stupenda struttura. E’ possibile raggruppare le vertebre in funzione della loro posizione sulla spina e vertebre dello stesso tipo condividono caratteristiche comuni anche se, alla fine, ognuna ha le sue peculiarità.
Per quello che ci interessa, una vertebra è schematizzabile come l’affare 3d in basso a destra: un corpo vertebrale il cui compito è assorbire le forze date dai carichi
soprastanti, una struttura posteriore complessa per permettere i movimenti della colonna.
Questo schema non rende giustizia dell’eleganza della soluzione che l’Architetto ha ideato: prendete due vertebre e impilatele una sopra l’altra, scoprirete che le faccette articolari inferiori della vertebra superiore si incastrano perfettamente su quelle superiori della vertebra inferiore (è uno scioglilingua ah ah ah…). Due vertebre impaccate fra loro più un elemento chiamato disco intervertebrale nel mezzo costituiscono una unità funzionale spinale, l’elemento funzionante minimo nella spina dorsale.
A sinistra come sono resi possibili i due movimenti principali della colonna: l’estensione cioè piegarsi “indietro” e la flessione cioè piegarsi “in avanti”: ogni unità spinale ruota intorno al proprio giunto costituito dalle faccette, la somma di tante piccole rotazioni determina una rotazione ben superiore. In questo modo movimenti complessi sono dovuti alla somma di movimenti elementari, un capolavoro di efficienza.
Chiaramente questa è una semplificazione: voi potete ruotare il torace e piegarvi lateralmente, azioni che le grezze vertebre 3d che ho disegnato non possono fare!
Il disco intervertebrale è un oggettino progettato per assorbire forze compressive, una specie di cuscinetto composto al centro da un materiale gelatinoso e colloidale, detto nucleo polposo, e sul perimetro esterno da strati di fibre elastiche disposte in modo molto complesso per formare l’anulus fibroso.
Nel disegno in alto il meccanismo di funzionamento, assimilabile rozzamente ad uno pneumatico: la compressione schiaccia il nucleo polposo che deformandosi mette in tensione l’anulus che a sua volta agisce da struttura contenitiva assorbendo la compressione esterna.
I tiranti della colonna
Il disegno rappresenta i principali muscoli della schiena per il mantenimento della spina in posizione eretta, gli erettori spinali. Sono muscoli assolutamente incasinati, ramificati, estesi. Il bicipitino semplice semplice che usate nel curl per avere le braccia grosse è un banale tirante di una banale leva!
I muscoli spinali hanno il compito di stabilizzare la spina bloccandola in un complesso network di tensioni il cui compito è permettere i movimenti volontari ma impedire quelli accidentali, come una flessione in avanti dovuta ad un carico troppo elevato.
A differenza pertanto di semplici tiranti d’acciaio, i muscoli costituiscono un vero sistema di trazione dinamico che può modulare la direzione e l’intensità delle forze che agiscono sulla spina sulla base degli input volontari o riflessi. Sono gli erettori spinali che compattano la spina rendendola rigida, permettendo ai dischi intervertebrali di non “scivolare” pericolosamente avanti o indietro!
Sorprendenti esperimenti in laboratorio dimostrano che le singole vertebre, schiacciate con presse apposite, non riescono a sopportare sforzi usuali in qualsiasi attività sportiva impegnativa e la spina nel suo complesso non riesce a sostenere un peso di 9Kg sulla sua sommità senza flettersi. Sono perciò le tensioni muscolari che determinano la resistenza alla compressione e flessione della spina dorsale: per avere una lunga e vincente carriera come stacchisti è necessario imparare ad utilizzare al meglio questi muscoli!
Le diaboliche forze di taglio
Questo è indigesto, comprendo, ma è necessario per capire cosa non sia simpatico per i nostri dischetti gommosi: a sinistra un modello estremamente semplificato della spina dorsale dove tutte le vertebre sono condensate nella 5° lombare e il resto della spina è una semplice asta, un modello a leva o cantilever model.
- La forza peso P rappresenta il peso del tronco e del bilanciere tenuto dalle vostre braccia: è possibile scomporre questa forza in una direzione parallela alla spina dorsale e una perpendicolare.
- La componente perpendicolare è ciò che vorrebbe farvi ruotare in avanti ed è equilibrata dalla forza F dei vostri erettori spinali: notate come le leve siano assolutamente disuguali a scapito dei muscoli, perciò la forza muscolare è nettamente più intensa della forza che deve bilanciare.
- La componente parallela è una forza puramente compressiva. Poiché voi non diventate dei nani quando fate lo stacco, qualcosa impedisce alla vostra spina di collassare telescopicamente: è la reazione vincolare R dell’osso sacro che “spinge” per impedire alla 5° lombare di muoversi sotto l’azione della forza parallela e della forza muscolare stessa, che è a sua volta una forza compressiva. Più forza muscolare è richiesta e più compressione c’è sulla base della spina!
- C’è però un problema: la forza F impedisce la rotazione in avanti, la forza R impedisce lo spostamento della 5° lombare sotto l’azione delle forze compressive, ma… la forza perpendicolare… chi la compensa? Questa “tira in avanti” la 5° lombare ed è detta forza di taglio anteriore e va compensata.
Il disegno al centro mostra come la forza di taglio “tiri in avanti” la vertebra superiore di ogni unità funzionale spinale e come lo slittamento sia impedito dal disco intervertebrale che viene messo in tensione e dal fatto che le faccette articolari vengono compresse: addirittura le faccette superiori tendono a scavalcare quelle inferiori, bloccate solo dai legamenti che le tengono insieme.
Le faccette e il disco vengono deformati per fornire la resistenza necessaria a compensare la forza di taglio, infatti come si può osservare nel disegno a destra il diagramma delle forze è un percorso chiuso e la spina risulta equilibrio.
Poiché le forze di taglio sono ineliminabili e presenti in qualsiasi movimento che viene compiuto, le specifiche progettuali della spina dorsale prevedono che le sopporti proprio in questo modo: ciò non toglie che vi sia un limite a ciò che può essere sopportato, sia come forza massima che come esposizione a questa forza.
Preservare i propri dischi intervertebrali è fondamentale perché, deforma oggi, deforma domani, alla fine possono “bucarsi” come le gomme delle macchine e far fuoriuscire del materiale che va a comprimere il midollo spinale contenuto all’interno del foro vertebrale o un nervo che da questo fuoriesce. A questo punto, citando Confucio, “sono uccelli senza zucchero!” e il nostro vocabolario si arricchisce di nuove paroline frizzanti: ernie, protrusioni, bulging, espulsioni. Infatti a differenza delle gomme delle macchine, non esiste un ruotino per arrivare fino al primo gommista…
Chiaramente questa nefasta esperienza è il peggio che può succedere ma infortuni molto meno gravi possono capitare a qualsiasi struttura legamentosa presente. Difficilmente, a meno di errori idioti o patologie preesistenti, lo stacco crea infortuni acuti quanto piuttosto cronici dovuti ad una errata conoscenza dell’esercizio perché come sempre:
non esistono cattivi esercizi ma cattivi esecutori di esercizi inappropriati.
Le vertebrine a sinistra descrivono il diverso comportamento della spina in flessione ed in estensione: i muscoli spinali si inseriscono sui vari processi (quello spinoso in questo caso) in maniera “obliqua” creando una bella leva che ha il suo fulcro circa al centro del disco intervertebrale.
La trazione dei muscoli è sempre scomponibile in una componente perpendicolare e una parallela: la componente perpendicolare è quella che contrasta la rotazione della vertebra, ma la componente parallela “tira” invece la vertebra nella direzione opposta a quella della forza di taglio anteriore. Così facendo i muscoli scaricano parte della tensione presente sui dischi intervertebrali e sulle faccette articolari!
In flessione la configurazione geometrica della spina è tale che la componente parallela sia minore rispetto a quella ottenibile in estensione pertanto l’effetto benefico è sicuramente minore, mentre è possibile mostrare come in flessione le forze di taglio siano ben superiori a quelle che si hanno in estensione.
Lo scheletro al centro del disegno ha la schiena più inclinata di quello a lato ma, mantenendo la sua spina estesa e non flessa come l’altro, subisce degli stress molto minori: in flessione i muscoli “tirano indietro di meno” la spina mentre le forze di taglio la “tirano avanti di più” rispetto all’estensione ed è per questo che tirare con la schiena a “C” è pericoloso.
Schiena “tesa”, “dura”, “compatta” indica che gli erettori spinali e tutti i muscoli del back sono contratti per garantire la massima resistenza della colonna vertebrale: così facendo i rischi di infortunio vengono drasticamente diminuiti. Il bravo stacchista mantiene inalterata la forma della sua spina dorsale in tutta la traiettoria del movimento. Il bravo stacchista non stacca “a schiena dritta” ma “a schiena tesa”. Solo in questo modo è possibile far avverare ciò che è stato scritto alla fine del paragrafo precedente: spina e bacino sono da considerarsi un blocco unico.
Nel grafico sono riportati a titolo di esempio le forze in gioco sulla spina ricavate da uno studio su sollevatori olimpici: Fm è la forza muscolare di picco, Fc L5/S1 e Ft L5/S1 sono rispettivamente le forze di picco compressive e di taglio sul disco intervertebrale fra la 5° lombare e la 1° sacrale. Direi che è bene stare attentini quando giochiamo con il ferro…
Ho un’ernia, posso fare lo stacco?
Questa è una domanda classica e ricorrente su Internet: “ho un’ernia”, “ho la scoliosi”, “ho una protrusione”, “ho una gamba più lunga e una più corta” a cui segue regolarmente ” posso fare lo stacco?”. A queste domande la risposta non può che essere un bel “NO!”
Nessuno con un minimo di coscienza può dare una risposta diversa ad individui mai visti, pertanto se avete delle patologie a voi note è una vostra decisione il provare o meno, questo deve essere chiaro. Solo voi potete giudicare il vostro stato di salute, non esiste una tecnica da stacco per il tizio sano e una per quello malato, non è questione di carichi o di ripetizioni. Perciò, be careful!
Individualità o esecuzione di (beep)?
In tutte le attività umane esiste sempre un modo corretto per ottenere risultati, una serie di precetti, un metodo collaudato, un approccio standard che permetta statisticamente di raggiungere l’obiettivo in maniera sicura e produttiva.
Quando l’attività è stata assimilata, quando siamo sicuri di quello che facciamo, possiamo derogare alle regole di base.”Derogare” non significa “eseguire al contrario” ma focalizzarci su aspetti che ci interessano, provare nuove idee. Si scoprirà, se siamo intelligenti, che il nostro approccio ricalca le nostre individualità, che non è migliore per tutti ma lo è per noi, o addirittura che siamo innovativi per tutti, anche se è ben più difficile che accada. Si scoprirà, magari, che l’ideona che sembrava geniale si è rivelata un completo fallimento, a dimostrazione che il metodo di base aveva un suo senso di esistere.
Le attività sportive non si esimono da queste constatazioni. A fronte di una esecuzione da manuale ci sono campioni che vanno assolutamente controcorrente. Pensate al recordman dei 200 metri Michael Johnson, l’uomo burattino. Biomeccanicamente svantaggiosa per il resto del pianeta, la sua è stata una delle corse più veloci al mondo.
A fronte di una esecuzione standard esistono le individualità e possiamo assimilare il tutto a media e varianza. E’ però fondamentale riuscire a capire quando si parla di individualità, una esecuzione adatta e funzionale per il soggetto in esame, o di errore, una esecuzione sbagliata.
Rimango sempre perplesso dai giudizi categorici sull’esecuzione dello stacco da terra che leggo sui forum: questo fa schifo, questo si farà male, questo sbaglia…
Il punto è che lo stacco è un esercizio molto interpretabile, con molti margini di manovra nella sua forma di esecuzione. Ad esempio, il ritornello la “schiena il più possibile dritta, e chi la piega sbaglia” si applica a Konstantin Konstantinovic con 400Kg di stacco?
Se avesse la schiena dritta tirerebbe di più? Mi sta bene, ma glielo dite voi però. Il tizio in questione esegue lo stacco in questo modo e non si fa male. Lui tira così, punto. Nel suo caso, parliamo di individualità. Se lo fate voi a 150Kg, state facendo uno stacco di (beep). E punto anche qui.
Non è che solo i “campioni” possono permettersi delle individualità, però questa è una buona regola, ed è proprio per questo che voi dovete avere in mente una esecuzione “standard” con cui confrontarvi e dovete smetterla di osservare i “campioni” quanto piuttosto concentrarvi su modelli di riferimento ai vostri standard!
In linea di massima per arrivare a 250Kg non bastano solo le doti ma dovete dedicarvi religiosamente alla tecnica di esecuzione e alle sue finezze per anni, per sfondare il muro dei 200Kg dovete avere una tecnica dal decente al buono, sotto i 200Kg si vedono esecuzioni di tutti i tipi anche veramente pietose.
Deadlift tutorial
In questa sezione imparerete i concetti di base dello stacco da terra pertanto se avete fretta potete leggere solamente questo paragrafo.
Come non imparare lo stacco da terra 1 – Altezza dei dischi
Lo stacco si impara con i pesi del diametro giusto. Sembra una banalità, ma invece è uno degli errori tipici molto difficili da diagnosticare sul web. C’è gente che scrive “non riesco a partire con le chiappe basse” e giù fiumi di risposte di biomeccanica avanzata.
Poi, milioni di caratteri ASCII dopo, in un bel video la persona esegue con le rotelline da 10Kg.
A sinistra un bilanciere caricato con le rotelle da 10Kg. Vedete quanto è più basso rispetto a quello a destra in cui le mie mani sono all’altezza standard di 22,5cm? Le rotelle nere sono da 37cm di diametro quando il riferimento è 45cm, il diametro di un disco rosso da 25Kg per una competizione di powerlifting (da cui il mistico 22,5…). Le tavolette servono a riportare l’altezza all’altezza corretta per eseguire l’esercizio.
I 22,5 centimetri sono semplicemente un riferimento universalmente noto e dato per scontato, non è che dovete essere precisi al millimetro con la livella laser, però una altezza ridotta non vi permette di imparare bene il movimento. E poi quei dischetti dei Puffi sono ridicoli, su… serietà per favore! Tavolette di legno e via.
Come non imparare lo stacco da terra 2 – Carico
Per lo stacco, come per qualsiasi esercizio, è necessario usare il carico “giusto”. Voi sollevate pesi, no? Mica fate l’uncinetto. Fareste mai l’uncinetto senza filo o con un attrezzo da 3Kg? Io dico di no. Vale la stessa cosa anche qui.
All’inizio è giusto e corretto imparare con il solo bilanciere, con poco peso: serve a darvi la coordinazione minimale per farvi passare dall’incapacità totale ad una parvenza di esecuzione umana. Però se giocate a Doom al livello trainee difficilmente
farete fuori il cyberdemone alla fine del gioco!
Il problema del carico troppo esiguo è che voi potete in buona fede… barare. In queste immagini uso 26Kg con le rotelline da 10Kg, situazione classica da principianti. La difficoltà primaria dello stacco è il passaggio al ginocchio: a meno che non vogliate ficcarvelo dentro le articolazioni, avrete il bilanciere davanti alle rotule e lontano dalla schiena.
Se voi utilizzate poco peso, riuscirete ad allontanare il bilanciere dal corpo come a destra, rimanendo più “dritti” rispetto ad una esecuzione con 5 volte tanto. Se, cioè, con 30Kg questo giochetto vi riuscirà (lo farete inconsapevolmente ma lo farete), con 100Kg sarà ben difficile. Perciò a 100Kg dovrete imparare nuovamente un movimento diverso.
Non sto dicendo che dovete mettere 3000Kg il secondo giorno della vostra vita che fate stacco, però via via che apprendete il movimento dovete salire con i Kg, in modo da arrivare rapidamente verso il vostro peso corporeo. E’ lì che l’alzata manifesta le sue prime vere difficoltà.
Chiaramente, non è un obbligo: potete rimanere a 30Kg per il resto della vostra vita, i gusti sono gusti. C’è chi ama essere frustato, voler fare 30Kg di stacco pr sempre non mi sembra poi un qualcosa da deplorare.
Tipologie di stacco
A seconda della larghezza dei piedi lo stacco si divide in:
- regolare: le mani sono esterne alle cosce, i piedi sono larghi al massimo quanto le spalle (fotogrammi a sinistra)
- mezzo sumo: le mani sono interne alle cosce, i piedi sono larghi poco più che le spalle (fotogrammi centrali)
- mezzo sumo: le mani sono interne alle cosce, i piedi sono più larghi che le spalle e le tibie perpendicolari al terreno (fotogrammi a destra)
Questa trattazione è relativa al primo caso, nei paragrafi successivi una descrizione ossessivamente dettagliata dello stacco sumo. Per la cronaca, lo stacco va potenziato in tutte le sue varianti. Io, con 270Kg di stacco regolare, ho comunque 240Kg di stacco sumo.
La presa
La presa nello stacco è di tipo misto, con una mano prona e una supina o, se volete, una mano in giù e l’altra in su, o ancora con i pollici che puntano nello stesso verso. Questo tipo di presa, a parità della stretta sul bilancciere, è più sanda rispetto alla presa con le mani entrambe prone.
Il bilanciere, infatti, tende ad andare verso il basso e a ruotare nel palmo della mano. Con la presa mista, se il bilanciere tende a ruotare in un senso, nell’altra mano è come se ruotasse nell’altro: da una parte rotola in basso, dall’altra rotolerebbe in alto, compensando l’effetto. Provate con un peso minimamente impegnativo, lo terrete quasi senza sforzo.
La presa mista è la più tenace, infatti tutti gli stacchisti usano questa presa. Negli anni ho partecipato a discussioni truculente in cui si scontravano i fanatici delle varie prese, flames così stupide che mi vergogno anche a raccontare. Tre argomenti che voglio segnalare, per completezza:
- Molti pensano che la presa mista possa provocare squilibri: sicuramente è una considerazione dettata dal buon senso ma… esistono riscontri? Comunque, il mio approccio è prettamente da ingegneri: se avete paura di squilibri, alternate la direzione dei pollici ad ogni serie come faccio io o addirittura anche ad ogni ripetizione. Dovete essere capaci a staccare con presa mista in entrambi i versi, poi avrete la vostra presa preferenziale che userete nelle alzate impegnative.
- Esiste un macho-pensiero che afferma che la presa mista renda l’esercizio più facile, perciò sia meno cool di quella prona. E’ un atteggiamento simile a quello dellìitaliota che pensa che il cambio automatico non sia da veri uomini, solitamente chi la pensa così sotto ipnosi rivela dei traumi infantili irrisolti.
- Una terza posizione è quella di chi preferisce la presa “ad uncino”, tipica dei sollevamenti olimpici: la presa ad uncino è il classico caso di “farò” invece di “ho fatto”: tutti ne parlano, nessuno la usa. Si tratta di chiudere la presa, prona, mettendo il pollice fra il bilanciere e le altre quattro dita. Provate, scoprirete perché nessuno la usa…
La presa nello stacco è assolutamente fondamentale:
you can’t lift what you can’t hold, non potete sollevare quello che non potete trattenere
Potete provare sulla vostra pelle che quando la presa non è più salda la schiena diventa di burro e il bilanciere vi tira proprio giù.
Solitamente i problemi di presa capitano a chi usa quella prona, se usate la presa mista non avrete praticamente mai difficoltà, a meno di serie lattacide ad alte ripetizioni. Per migliorare la presa vi consiglio, semplicemente, di allenarvi nello stacco: l’uso di gripper vari, le trattenute isometriche o torture simili sono a vostro rischio e pericolo dato che possono farvi sviluppare delle belle epicondiliti che sono simpatiche come delle unghie che stridono su una lavagna.
Il posizionamento davanti al bilanciere
Una leggenda metropolitana recita: nello stacco dovete appiccicare le tibie al bilanciere quando siete in piedi. In questo modo quando afferrate il bilanciere potete sbilanciarvi indietro e spingere con i talloni.
Ecco: questa è, appunto, una individualità. Non è vera per tutti, men che mai per me.
Nelle due immagini a sinistra sono in piedi con le tibie appiccicate al bilanciere, afferro il bilanciere sbilanciandomi indietro. Come vedete, non riesco a stare con la schiena estesa, perchè la posizione non è confortevole. Il bello è che per anni, prima delle telecamere amatoriali a basso costo, io ho eseguito in questo modo perdendomi Kg e Kg di massimale. Perciò, attenti. Magari per voi va bene, magari no.
Visivamente, a destra, la differenza è minimale quando sono in piedi, ma in posizione di partenza l’assetto è del tutto differente. Addirittura, per quelli come me che hanno una rigidità di caviglia incredibile, sarebbe meglio un piccolo tacco piuttosto che le scarpe piatte.
Come regola, dovete avere le tibie a contatto con il bilanciere quando siete nella posizione di partenza, piegati.
Come dicono gli americani, il take home message, il concetto che dovete portare a casa è che per “fare le cose per bene” dovete concentrarvi sui particolari utili invece che sulle finezze inutili o sull’eseguire senza capire. Per me questa semplice variazione ha voluto dire molto.
Respirazione
Lo stacco si esegue, come tutti gli esercizi impegnativi, in apnea. Perciò dovete essere sani e senza problemi cardiocircolatori. Non sarete in splendida forma a 50 anni più forti dei ragazzetti di 20, se vi esplode il cervello durante un massimale come se vi avessero premuto su un punto di pressione. Perciò… occhio: non sono lì con voi, non posso sapere chi siete e come state.
Lo scopo dell’apnea, che vedremo in dettaglio successivamente, è la creazione di un cuscinetto interno su cui la spina può appoggiarsi quando il carico vi sbilancia in avanti e in basso. La pressione addominale ha la funzione di sgravare parte del peso dalla spina.
Per far questo dovete respirare di diaframma e bloccare l’aria. Dovete, cioè, essere “gonfi d’aria” e tenerla per tutta l’alzata. Quando respirare e bloccare? Io lo faccio quando ho le mani sul bilanciere ma non ho piegato le gambe, respiro, piego, spingo. Imparate quando farlo nella maniera più comoda.
Una esecuzione decente
A – Setup. Il mio posizionamento un attimo prima di partire. Notate che non ho la schiena “dritta”, ma inclinata a circa 45°. Ripetiamolo: è impossibile avere la schiena dritta ciò che è importante è garantire il mantenimento delle curvature fisiologiche della spina in ogni momento dell’alzata e mantenere i muscoli spinali compatti.
Un attimo prima di questa posizione io eseguo queste operazioni:
- Stringo fortissimo il bilanciere. E’ l’esatto contrario di una presa debole: come Pavel Tsatsouline ha descritto nei suoi libri, in questo modo viene generato un impulso neurale che si “irradia” in tutto il corpo. Un po’ mistico e forse non ci credete, ma vi posso assicurare che funziona. Perciò, fondete il bilanciere.
- Respiro diaframmaticamente, come già descritto.
- Mi piego contraendo prima le spalle e adducendo le scapole, inarcando la spina e indurendo poi tutti i muscoli inferiori della schiena. Inizio a contrarre partendo dal trapezio, poi il grande dorsale e poi tutti gli erettori spinali lombari. Visualizzo e seguo quest’ordine, ovviamente si contraggono anche tutti gli altri muscoli! Perciò, non dovete ricercare solo la lordosi lombare perché contrarreste solamente gli erettori spinali della parte inferiore della schiena.
Tutto questo è necessario per una buona alzata, ed è qui che si imposta il successo o il fallimento.
B, C – Lift Off! L’errore tipico è interpretare lo stacco come un movimento di tirata perchè si “tira da terra” il bilanciere. In realtà, lo stacco va inteso come movimento di spinta. Per avere un forte stacco dovete spingere i piedi a terra, dovete sfondare il pavimento con i piedi.
Estendo la tibia sul femore e ruoto il bacino rispetto ai femori. In questo modo ginocchia, glutei e spalle salgono contemporaneamente. La mia schiena rimane alla solita curvatura, non ci sono gobbe o altro.
D – Sticking point. Al passaggio al ginocchio non ho le tibie completamente estese e questo mi permette di affrontare il punto più duro con i glutei e i femorali che possono contrarsi in maniera ottimale. Il passaggio al ginocchio è il punto critico dell’alzata, dove si decide la vittoria o la sconfitta, stare sul gradino più alto o fuori dal podio. Più avanti una bella descrizione che non potrà che farvi piacere!
E, G – Chiusura. A questo punto, è facile raddrizzare la schiena e chiudere l’alzata.
A destra la sovrapposizione di tutti i segmenti dove risulta evidente che schiena e bacino si spostino contemporaneamente alla stessa velocità nella prima parte dell’alzata. Perchè questo movimento possa svolgersi correttamente è necessario che voi pensiate come prima cosa a spingere a terra con i piedi. Non con i talloni (ma chi l’ha detto che si deve spingere di talloni, solo i monchi spingono di talloni, cazzarola) ma proprio con la pianta e le punte.
La prima sensazione che dovete avere è che le chiappe si strizzano. Solo così potrete avere uno stacco forte e “quelli forti”, anche se usano la schiena, fanno così. Se non lo facessero… non sarebbero forti. Per imparare tutto questo si tratta di provare, provare, provare con il carico giusto.
Konstantin… again
Tornate indietro ai fotogrammi dell’alzata del nostro mostro di forza inumana: quando si posiziona a terra ha già la schiena curva nella parte toracica. Cioè, la sua normale curvatura fisiologica in posizione di trazione è… quella lì. A me non riesce, a meno di non fare una bella “C” fino alle lombari. Molti hanno questa caratteristica, che è appunto… Una individualità! Bravi, l’avete detta senza il suggeritore…
Perciò, il tipo parte così. Poi, notate che le sue chiappe salgono insieme alle spalle la curvatura assurdamente fisiologica della sua spina viene mantenuta: si presenta al ginocchio con le tibie non completamente estese.
In pratica, lui esegue sfruttando al massimo il suo corpo e tutti i forti deadlifters, anche quelli che tirano a gambe che sembrano tese, fanno così: schiena compatta, spalle e chiappe che salgono insieme, passaggio al ginocchio ottimale per tirare e chiudere. Non dovete copiare questo, altrimenti farete crack chiudendovi a conchiglia come i primi Startac, ma dovete comprendere cosa rende un’alzata forte e sicura.
Sbagliare per imparare
Due tipici errori nell’esecuzione dello stacco: sollevare troppo le chiappe e arcuare la schiena, questo secondo solitamente è una conseguenza del primo.
In questa sequenza ho un buon posizionamento iniziale, ma quando inizio il movimento le mie chiappe salgono al cielo.
E’ assente il movimento contemporaneo delle spalle e della schiena, si “apre” solo l’angolo femore-tibia e non quello femore-schiena. In pratica, mando le spalle in
avanti. Il perchè verrà analizzato in seguito, adesso mi preme farvi notare l’effetto di quello che accade.
Nel disegno a sinistra la sequenza corretta dell’alzata, a destra quella sbagliata dove il movimento non è dolce e continuo proprio perchè i due angoli si aprono in maniera non contemporanea ma in sequenza 1-2: prima si apre l’angolo tibia-femore (fase 1) con le spalle sempre alla stessa altezza, e poi si apre l’angolo femore-schiena (fase 2). Così facendo ottengo due effetti negativi:
La schiena è flessa in avanti più che che nella situazione ideale e devo generare molta più forza per tirami su. Questa forza è tutta a carico degli erettori spinali e ciò non è simpatico.
Estendendo subito le gambe metto glutei e femorali nella condizione peggiore per contrarsi: non riesco a sfruttarli al meglio. Potete provare questo effetto con una cassa d’acqua: sollevatela da terra senza flettere le gambe e poi flettendo le gambe ma cercando di far compiere alla vostra schiena la stessa traiettoria precedente. Scoprirete che a gambe flesse fate meno fatica e “sentite” che le cosce funzionano “meglio” (provate, le sensazioni sono importanti)
La striscia di fotogrammi in alto mostra tre diversi “inizi” di alzata in modo da poterle confrontare: a sinistra un corretto inizio d’alzata, nel mezzo la situazione “culo alto” e a destra la perdita di curvatura lombare, assolutamente da evitare e non occorre essere un chiropratico di fama mondiale per comprendere il motivo…
L’errore ha delle conseguenze tragiche al passaggio al ginocchio, la striscia di fotogrammi in basso, dove il punto di difficoltà amplifica i due effetti negativi. Questo è il punto a maggior probabilità di infortunio o, meno traumaticamente, dove l’alzata fallisce. Tipicamente, si vedono persone che rimangono immobili a tirare e poi mollano: al ginocchio il bilanciere inizia a rallentare mortalmente e, anche se continua a salire, magari non si riesce a chiudere l’alzata per 5 centimetri. Quelli sono i 5 centimetri in cui la schiena deve essere messa in posizione eretta, recuperando un po’ di curvatura: lì c’è il crollo.
Perchè si sbaglia
Lo so che voi, vedendo queste immagini, state sghignazzando.”Ah ah ah, mica sono così idiota, io… mica lo faccio così, io… ma come si fa a sbagliare così? Ah nelle palestre si vede di tutto… ah si stava meglio quando si stava peggio… ah le stagioni non sono più quelle di una volta!” Siete sicuri? Vi siete mai ripresi? Provate, potreste avere delle sorprese. Non mi dite “ma io sento che faccio bene“. Sentire di fare bene e farlo sono due film del tutto diversi.
Le cause degli errori sono molteplici, ma la principale è non comprendere che lo stacco sia un movimento di spinta a terra con i piedi e che sono i glutei e i femorali che fanno ruotare il bacino, mentre la spina dorsale rimane compatta nella sua forma.
Istintivamente voi attribuite la causa del vostro “mettervi in piedi” all’uso delle cosce per stendere le gambe e della schiena per raddrizzarvi. Perciò… questo fate. Contraete i quadricipiti e tirate con gli erettori spinali, da cui l’1-2: stendete le gambe e vi raddrizzate. L’estensione delle gambe, con i piedi murati al suolo non può che portare a far salire le chiappe. In altre parole non state utilizzando i muscoli più forti del vostro corpo.
Quasi tutti possono imparare uno stacco decente, gli errori sono problemi di postura e di percezione errata del movimento. Per questo non mi piace l’uso della quadra bar: nasconde il problema e non lo risolve, ma chi si trova bene con la quadra e male nello stacco classico è probabile abbia problemi a scendere sotto il parallelo nello squat, perchè questo tipo di errore è presente anche in questo movimento.
L’apprendimento di uno schema motorio corretto e si risolve provando e riprovando. Il problema è che in palestra ci si fissa sul fare massa, sull’esercizio produttivo, sull’allenamento “migliore” e non si ricerca un minimo di tecnica, complice anche il puro terrore dei proprietari/istruttori/personal trainer che vedono nello stacco uno strumento per la creazione di ernie espulse e dischi intervertebrali proiettati dalla sala pesi a quella di aerobica, con cause, denunce e premi delle assicurazioni che lievitano.
Peccato, perché tanti aspiranti stacchisti potrebbero migliorare nel giro di tre o quattro sedute grazie alla supervisione di un tecnico un minimo capace, mentre imparare leggendo una roba come questa è sicuramente molto più complicato. Del resto, nessuno diventa cintura nera di Jet Kune Doo leggendo i libri di Bruce Lee…
Un secondo motivo per cui si alzano le chiappe, anche non in maniera evidente come negli esempi, è una forma di “paura”: la paura di non farcela. Quando iniziate a premere dovete imprimere velocità al bilanciere che passa da zero metri al secondo a un valore diverso da zero. Qui c’è la necessità di un picco di forza, quella che si chiama starting strength.
Esiste un attimo, un momento, in cui voi fate forza e il bilanciere non sale. Poiché voi volete muovervi, istintivamente il vostro corpo cerca qualcosa da far muovere: i glutei che sono l’unico punto che può spostarsi. L’allenamento permette di continuare a farvi premere a terra per quel millisecondo in più che serve a far sollevare il bilanciere nella postura corretta.
Un terzo motivo è un posizionamento errato, tipo lo stare troppo vicini al bilanciere o non ricercare una posizione di partenza a chiappe basse. I video servono a questo: le castronerie si eliminano velocemente, ma vanno viste.
Difficilmente, invece, avrete una carenza in un gruppo muscolare e facendo salire i carichi gradatamente, utilizzando schemi corretti per l’esercizio, scoprirete che le ipotizzate “carenze” erano solamente errori di esecuzione.
Il problema degli errori nello stacco è che possono essere commessi anche con Kg apparentemente grandiosi. Se voglio, io riesco a tirare orribilmente così anche con 200Kg. Duecentochilogrammi… wow… nelle palestre con 150-180Kg sei Dio che appare ad Arnold per consegnargli le Tavole dei Comandamenti Weider.
C’è gente molto forte che potrebbe essere ancora più forte, ma dato che si accontenta di essere il più forte del Centro Fitness, pensa che vada bene così. Molti eseguono poi con ripetizioni molto alte e perciò attribuiscono il fallimento dell’alzata non alla tecnica orrida ma alla durezza della serie. E così, non sfruttano le proprie potenzialità.
Le peggiori esecuzioni si vedono, statisticamente, fino a 180-200Kg. Oltre, ragazzi, o tirate per bene (nei termini espressi precedentemente) o difficilmente potrete migliorare.
Assurdo
Rimango sempre stupito dall’incredibile fantasia delle persone. C’è chi strattona, tira storto, infila le ginocchia sotto il bilanciere, saltella.
Questa è “l’infilata“: ad un certo punto le ginocchia vengono ficcate sotto il bilanciere per avere un appoggio. Per molto ma molto meno l’alzata viene annullata in una gara di Powerlifing, a ragione: lo stacco è un esercizio dove mostrate la vostra forza e abilità nell’uso della catena cinetica posteriore sotto carico. Quando infilate… la catena cinetica va a farsi benedire!
Anche questo è un tipico errore che sul breve periodo porta ad un incremento dei carichi che possono anche essere, ripeto, considerevoli. Però dopo i progressi si arrestano. E poi, ragazzi, c’è anche una estetica del gesto, dai… così fa schifo, su.
Come eseguire una serie di stacco
Abbiamo detto alla nausea che lo stacco consiste nel sollevare un peso da terra per mettersi eretti, ma non abbiamo mai menzionato il movimento opposto per rimettere il bilanciere a terra, dando per scontato che debba esistere se vogliamo eseguire una serie di più ripetizioni.
Del resto, in qualsiasi esercizio con pesi liberi che sfrutta la Gravità esiste sempre un movimento “in su” e uno “in giù”… Il punto però è che lo stacco consiste solo nell’andare “in su” a differenza della panca e dello squat dove il movimento è composto da due parti.
Lo stacco è definito come un movimento puramente concentrico: i muscoli si contraggono e si accorciano, il bilanciere sale. Lo squat e la panca sono invece movimenti eccentrici-concentrici: nella discesa i muscoli si contraggono mentre si allungano (movimento eccentrico), nella risalita i muscoli si contraggono e si accorciano (movimento concentrico). Lo stacco non è una eccezione: le trazioni, il lento in piedi partendo dal petto sono altri esercizi concentrici, ad esempio.
Se perciò va allenato esclusivamente il movimento concentrico, l’ideale sarebbe eseguire un’intera serie tirando verso l’alto con la forza muscolare e sbattere il bilanciere al suolo accompagnandolo con il minimo sforzo: questo è ciò che viene fatto nelle palestre di powerlifting e di weightlifting, dove sentirete continuamente dei boati terrificanti.
Poiché noi poveri tapini siamo costretti ad allenarci in condizioni disperate, difficilmente potrete trapanare con i dischi da 20 il bel parquet della fichissima palestra Virgin o, peggio, quello di casa vostra anche se, devo dire, la Padrona Assoluta della mia vita si è quasi rassegnata (quasi… ogni tanto prendo delle fumate incredibili ah ah ah).
Una alternativa è fare una pausa dopo ogni ripetizione per riposizionarsi correttamente. Di sicuro questa strana tecnica sarà per voi nuova: provate ad eseguire una serie da quattro ripetizioni con un carico del 70% del vostro massimale, riposizionandovi dopo ogni alzata: l’impegno per ripartire sarà notevole e la serie passerà da “semplice” a “impegnativa”.
La pausa annulla del tutto lo stretch reflex, il riflesso miotatico: nell’esecuzione continua mentre vi abbassate il vostro cervello interpreta come situazione potenzialmente pericolosa il fatto che i vostri muscoli si allunghino mentre si stanno contraendo e pertanto potenzia la contrazione. Questo effetto non cessa istantaneamente all’inversione del movimento ma persiste successivamente per qualche decimo di secondo, tempo sufficiente a contribuire alla spinta verso l’alto. Questo è il motivo per cui gli esercizi con pausa nel punto più difficile sono più complicati di quelli senza pausa!
Dato che lo stacco inizia con il bilanciere fermo a terra, se lo allenate con ripetizioni eccentriche-concentriche state apprendendo uno schema motorio che è quello dell’esercizio solo nella prima ripetizione di ogni serie. Vi siete mai chiesti perché la prima ripetizione di una serie di stacco sia quella più difficile? Assenza dello stretch reflex!
Dovete considerare l’esecuzione con riposizionamento come l’esecuzione di base, le altre invece variazioni. Non partecipate al giochino al massacro sul fatto che sia meglio questa esecuzione o l’esecuzione continua dove appoggiate e ripartite, tecnica sfiora-e-riparti o touch’n’go: dovete essere “bravi” in entrambi i modi!
Come regole pratiche:
- Fino a quattro ripetizioni utilizzate il riposizionamento: è l’ideale per apprendere l’uso di carichi elevati. In uno stacco sfiora-e-riparti la discesa non potrà mai essere uguale alla salita ma verrete sbilanciati in avanti, per quanto leggermente, e ogni ripetizione sarà diversa.
- Sopra le quattro ripetizioni usate l’esecuzione continua, altrimenti sclerale perché l’impegno mentale diventa veramente elevato: si suppone che utilizziate lo stacco come esercizio più “da culturista” e l’enfasi sull’eccentrica è importante.
Lividi, escoriazioni, ferite sanguinanti
Se il vostro stacco è corretto avrete le tibie scartavetrate dal bilanciere perché state correttamente facendolo scorrere più vicino possibile a voi. L’ottimale è avere anche le cosce belle rosse, con quei puntini di sangue sotto pelle come aveste fatto una bella ceretta con la Loctite.
Se mai e poi mai avete avuto lividi sulle tibie il vostro stacco non è buono, se avete solo le cosce abrase state facendo delle infilate, se avete dei dolorosi lividi non sotto ma sopra la rotula non state coordinando bene la discesa. Mettetevi dei parastinchi, tre tute, degli asciugamani nastrati, ma queste sono il marchio dello stacco.
I calli invece meritano un discorso a parte: per alcuni può essere very macho avere le mani levigate come la pelle di un tirannosauro, ma i calli devono essere limati ed eliminati altrimenti si possono strappare creando dolenti ulcerazioni sulle mani e seri problemi di presa.
Aumentare il grip del bilanciere
Alcuni modelli di bilancieri commerciali non hanno la zigrinatura nel punto di presa delle mani: un metodo semplice ed economico per risolvere il problema è nastrarli con il nastro da carrozzieri, avvolgendolo “obliquo” e creando delle increspature.
Se il bilanciere non è vostro ma della palestra, potete migliorare il grip spalmando sulle mani del gesso o del magnesio, io per molto tempo ho usato la terra fuori dal mio casotto. In alcune palestre manco questo si può fare, cazzarola, perciò potete ovviare usando invece dei banali gessetti con cui disegnarvi le mani senza fare polvere.
Queste sono idee così stupide che qualcuno potrebbe non averle mai avute
Lo stacco sumo
Dopo un po’ che praticate lo stacco da terra con alterne fortune, scoprirete che esiste una variante magica: invece di tenere le mani esterne alle cosce… perchè non metterle interne, allargare le gambe e tenere la schiena più dritta? Et voilà, scoperto lo stacco sumo!
Mi sono accorto che molti passano allo stacco sumo perchè nello stacco regolare non riescono a tenere la schiena in posizione o perchè sono alti o perchè “non si trovano”.
Ritengo lo stacco sumo una vera rappresentazione della “potenza”: l’atleta, eretto, tiene il bilanciere con le mani ravvicinate e con le gambe molto larghe, piantate per terra come a dire: “tira quanto vuoi, io non ti lascio”. Viceversa, mi sembra di essere molto un soldatino di stagno sull’attenti nelle mie chiusure di stacco regolare. Però io non sono uno stacchista sumo, per quanto ci abbia provato: questa esperienza mi ha fatto studiare approfonditamente le peculiarità di questo stile
Sumo vs Regular
In questi fotogrammi viene mostrato l’effetto del sumo: da stacco regolare a stacco sumo la schiena è molto più eretta. Provate: mettetevi in posizione di partenza dello stile regular e memorizzate le sensazioni, poi mettete le mani all’interno delle cosce che allargherete quel tanto che basta per trovare una posizione confortevole. Afferrate il bilanciere… wow… la schiena sta su da se!
Nel disegno ho riportato anche i segmenti disegnati nei fotogrammi. Per quanto il tutto sia molto spannometrico, risulta evidente il vantaggio.
Questo schema ha la pretesa di mostrare la “tridimensionalità” dell’esercizio: quando allargo le gambe i femori ruotano in un movimento circolare facendo perno intorno alle articolazioni. Il nuovo punto di contatto delle tibie determina una diminuzione della distanza fra bilanciere e osso sacro.
Nei fotogrammi a destra ho rappresentato il piano passante per anca, ginocchio e caviglia sinistre: passando da regolare e sumo questo piano si inclina. Questa “tridimensionalità” è stata proprio quantificata in laboratorio digitalizzando ed analizzando molti video di sollevatori esperti.
Nella parte a sinistra di questo disegno l’omino blu allarga le gambe “accorciando” la distanza bilanciere/chiappe: di lato è come se avesse i femori più corti, subendo un virtuale intervento di resezione ossea. Femori più corti, chiappe più vicine al bilanciere: dato che le spalle sono sempre alla stessa posizione rispetto a questo, la schiena sarà meno inclinata.
A sinistra due formule e il relativo grafico che descrivono l’andamento dell’angolo alfa, della distanza d e dell’altezza delle spalle dal suolo in funzione dell’angolo theta: è trigonometria da Liceo, spero che i rawer siano meno ottusi dei cavernicoli che frequentano le palestre grugnendo al passaggio dalla panca alla lat-machine ah ah ah
Voilà, semplice ed efficace, una magia geometrica: allargate le gambe, scendete e afferrate il bilanciere, il posizionamento iniziale a chiappe basse diventa una banalità! Ma se c’è una possibilità di tenere la schiena bella dritta, perchè tutti non usano lo stacco sumo invece dell’altra tecnica da coglioni?
Schegge impazzite di geometria!
Ok, provate a fare una ripetizione con il 70% del carico che normalmente usate in allenamento. Diciamo che se usate 150Kg proverete con 100Kg. Ma… che succede? Come mai il movimento è diverso? Il peso non parte bene come nel regolare però quando è partito la corsa è molto più breve!
Lo stacco sumo è tutto di glutei e femorali, assolutamente di glutei e di femorali. Tutto quanto detto per lo stacco regolare vale a maggior ragione nello stacco sumo. Con il sumo si ripresentano alcuni aspetti del front squat: il sumo è molto più tecnico del regolare nel senso che vi obbliga ad un solo percorso di salita, quello giusto: non è possibile riprendere una alzata sbagliata come certe volte permette lo stacco regolare, nel sumo quando si sbaglia il bilanciere torna a terra fragorosamente.
Se a sinistra nello stacco regolare è possibile chiudere una alzata sbagliata, ho potuto farlo nel sumo di destra solo perchè sul bilanciere c’erano pochissimi Kg. Estendere troppo presto le ginocchia, non avere la schiena “dura”, tenere il bilanciere lontani dalle tibie sono tutti errori che il sumo non perdona.
Se però la tecnica è buona e il controllo dei femorali presente, la corsa è più breve dello stacco regolare perchè non avete da “raddrizzare” la schiena: la spina è meno inclinata in avanti, perciò quando avete esteso le gambe l’alzata è in pratica finita. Questo è tanto più vero quanto più voi tenete le gambe allargate, e c’è chi usa lo stacco sumo ultrawide allargando così tanto che nella discesa deve spostare le punte dei piedi per non schiacciarsele!
La partenza nel sumo è con le tibie molto più perpendicolari rispetto al regolare. Perciò l’estensione della tibia rispetto al femore è possibile con un’arco di movimento minore perché in partenza l’angolo tibia-femore è più aperto: le tibie devono ruotare per meno gradi, rendendo il movimento più vantaggioso.
Ma, come vedete, c’è un equilibrio: più la schiena è verticale, più le gambe sono larghe, più dovete avere i femorali e i glutei come elevatori idraulici.
Il motivo per cui il sumo è più “tecnico” è anch’esso geometrico e, mi spiace per voi, ve lo descrivo… Qua sopra un esempio di tridimensionalità casereccia: in un mondo virtuale di B-spline, NURBS, Radiosity e RayTracing ecco due omini, sempre blu, disegnati con l’effetto 3d di PowerPoint.
Le frecce circolari indicano il verso in cui la schiena ruota rispetto ai femori per il raggiungimento della posizione eretta: in Fisica è indicata come momento meccanico di una forza o coppia di una forza o semplicemente coppia. In parole poverissime, la coppia rappresenta la capacità di una forza (in questo caso la vostra forza muscolare nel complesso) di mettere in rotazione un oggetto: quando diciamo che un motore “ha tanta coppia” vogliamo dire che ha la capacità di far girare l’albero di trasmissione in modo le ruote superino qualsiasi ostacolo o pendenza. I Fisici, per fare sempre scena, indicano la coppia con la lettera greca tau.
Nel caso dello stacco regolare la rotazione indotta dalla coppia che voi generate è tutta perpendicolare all’asse z ma nel sumo, proprio per le gambe allargate, la rotazione è perpendicolare ad una direzione che non coincide con la direzione precedente. Adesso non spaventatevi…
Leggete con calma perché capisco che questo schema sia complicato:
- A sinistra ho riportato gli elementi importanti dei disegni tridimensionali, uccidendo gli omini e occultando i loro cadaveri virtuali in una discarica di Second Life. Una rotazione “obliqua” come quella del sumo è scomponibile in due rotazioni elementari, come nella figura in basso a sinistra, lungo l’asse z e l’asse x.
- Immediatamente più a destra ho riportato le stesse due situazioni precedenti, ma viste dall’alto: notate come la coppia generata sia la stessa in entrambi i casi, le frecce circolari gialle hanno lo stesso spessore, ma nel sumo questa si scomponga in due coppie fra loro perpendicolari. Del resto, siete sempre voi a spingere sebbene in direzioni differenti!
- Nelle due coppie di disegni a destra il significato di quanto scritto sopra: nello stacco regolare, in alto, la coppia è solo sul piano sagittale (davanti-dietro), nel sumo è sia sul piano sagittale che su quello frontale (destra-sinistra). Mi raccomando, non è che chi esegue il sumo “preme” prima in una direzione e poi in un’altra: la coppia generata è una sola, semplicemente viene scomposta in due direzioni differenti rispetto a quella iniziale.
- Più le gambe vengono allargate e più la stessa coppia viene ripartita in maniera diversa. Al limite, in spaccata completa come un pollo in gratella, la coppia sarebbe tutta sul piano frontale.
OoooooooK!!! Ce l’abbiamo quasi fatta! In alto in questo nuovo disegno folle due passaggi al ginocchio per regolare e sumo: il bilanciere tira giù gli omini facendo ruotare la schiena sul piano esclusivamente sagittale, perché la forza peso data dal carico è sempre la stessa in entrambi i tipi di alzata.
Ma… mentre nello stacco regolare la coppia generata dall’omino è tutta sul piano sagittale, nel sumo una parte è “sprecata” sul piano frontale! Il “trucco” è che nel sumo l’omino è più eretto, perciò il bilanciere a parità di carico genera una coppia inferiore perché la leva su cui agisce è più corta: meno coppia generata dall’omino ma anche meno coppia generata dal peso a parità di carico.
La differenza sostanziale fra i due stili:
- Nel regolare buona parte della forza che generate è necessaria per raddrizzare la schiena (linea gialla spessa), ci vuole molta coppia, ma ne avete a disposizione. Questo perchè partite con la schiena più inclinata in avanti rispetto al sumo.
- Nel sumo, partendo con la schiena più eretta, avete bisogno di meno coppia per raddrizzarla, coppia che comunque non avete (linea gialla meno spessa) perchè è tutta nell’altro piano Tutto a posto, perciò: nel sumo la forza serve a mandarvi verso l’alto!
Se tutto è da manuale il sumo è sicuramente più vantaggioso perché la vostra forza muscolare è utilizzata al meglio per farvi mettere in piedi. Cosa succede se però per qualche motivo vi trovate con la schiena troppo in avanti, con il bilanciere troppo distante o commettete qualche errore?
Nel sumo non avete coppia per ruotare indietro! Non è che non generate forza, solo che non lo state facendo nel modo giusto: fate forza, ma le vostre leve articolari sono tali per cui la coppia generata non compensa quella del bilanciere per quanto vi possiate sforzare. Nello stacco regolare, invece, potete in qualche modo tentare di compensare perchè la coppia che generate è sullo stesso piano di quella generata dal bilanciere.
Potete provare tutto questo con un semplice esperimento, a patto che stiate attenti a non disossarvi: caricate pochissimo. 50Kg se usate solitamente 150Kg, mettetevi in posizione di partenza con i piedi quanto più aperti che potete, con le cosce come quelle di un pollo alla diavola.
Ora tirate da quella posizione, e quando siete poco sotto il passaggio del bilanciere al ginocchio andate con la schiena un po’ in avanti. Vedrete che per quanto possiate spingere non riuscirete a riprendervi se non con una estrema difficoltà. Questo accade proprio perchè state utilizzando la vostra forza per spingere verso l’alto le anche, non per ruotare la schiena indietro: non potete compensare lo sbilanciamento in avanti, spingete, andate in alto ma anche in avanti.
Il sumo vi obbliga così ad una traiettoria guidata e molto “stretta”, mentre nello stacco regolare avete molto più margine di manovra: se vi sbilanciate in avanti potrete tentare di riprendervi, potete abbozzare una infilata di ginocchia al limite del regolamento…Non è detto che vi riesca, ma avete delle chance in più rispetto al sumo.
S siete degli stacchisti con poca esperienza, passare al sumo da subito può (può!) non essere una buona scelta, proprio per la necessità di una padronanza della catena cinetica posteriore che è superiore rispetto al regolare.
Vi consiglio pertanto di dedicarvi per un bel po’ allo stacco regolare e passare al sumo in un secondo momento. Poi, ovviamente, se dopo due ore di palestra vi date allo stacco sumo, mica piango… magari è l’inizio di una brillante carriera di recordman nello stacco!
Uno stacchista che si rispetti deve essere comunque bravo in entrambe le tecniche con un differenziale dal 15% al 20% fra i due tipi di alzate: una delle due tecniche sarà preferenziale per la ricerca del massimale ma è necessaria la padronanza delle due versioni. Così facendo è possibile utilizzare l’alzata meno congeniale come variante difficile e avere un esercizio in più da sfruttare.
Per molti ma non per tutti
Esistono tabelle e rmule che sulla base della lunghezza degli arti permettono di scegliere il tipo di alzata. Le ho testate, hanno la loro logica di applicazione. Però preferisco non riportarle per due motivi.
Il primo è molto terra terra: ho amici che staccano regolare o sumo a parità di altezza e di lunghezze articolari (ok, non li ho misurati, ma non sono né dei gibboni, né gente con le braccia così rattrappite da non potersi scaccolare il naso).
Tanto per dire, Enrico Bomboletti, categoria 110Kg su 175 centimetri stacca 290Kg con un sumo supertecnico, come Valerio Treviso che a 78Kg su 175 centimetri stacca un 270Kg sumo belli veramente da verdere; Simone Sanasi, a -82.5Kg su una altezza circa come la mia tira il miglior mezzo sumo mai visto con 292.5Kg, mentre io a 78Kg per 175 centimetri ho sollevato 270Kg in tecnica regolare a piedi molto stretti, Marco Lazzari a 112Kg di peso e oltre 180cm di altezza tira 330Kg di regolare e categorie 67.5Kg tirano sumo come regolare e non stiamo parlando di certo di persone alte.
Posso continuare con altri 3000 esempi ma nella pratica lo “stile” è proprio una individualità, determinata dai più disparati fattori. Toglietevi dalla testa, perciò, che quelli alti debbano per forza tirare da terra in stile sumo, o quelli con le braccia lunghe o corte o altre regole del genere. Perchè possono essere sicuramente utili all’inizio, ma poi la scelta dello stile dipende anche da altri fattori.
Il secondo motivo è che il corpo umano è complesso e la misura della lunghezza degli arti può indurre in errore. Consideratela perciò una prima approssimazione, molto grossolana, per classificare gli individui.
Anni anni fa mi fissai con lo stacco mezzo sumo con il bagaglio di esperienza dato dai 240Kg di sumo di qualche tempo prima. Il mezzo sumo è una tecnica che a mio avviso mette insieme il meglio delle altre due: gambe sufficientemente ravvicinate da avere una trazione sul piano sagittale come il regolare, con tutta la flessibilità di questa tecnica, schiena più eretta come il sumo.
Quando mi allenavo sentivo però una strana sensazione alle anche, come se i femori si piantassero dentro. Pressione, non male. Ma questa pressione si trasformò, nei mesi (mi raccomando: mesi, non giorni, né istantaneamente) in dolore. Chiaramente il dolore rimase anche quando smisi con il mezzo sumo e alla fine dovetti fermarmi per dieci settimane perché mi ero lesionato l’articolazione sacroiliaca sinistra.
Il bacino è il punto di raccordo fra le parti superiori ed inferiori del corpo: è una specie di arco che permette di scaricare le forze che agiscono sulla spina verso gli arti inferiori. Bacino e femori costituiscono quest’arco arco la cui forma geometrica è influenzata da tutti gli elementi ossei che compongono la struttura. A sinistra una
ppresentazione meccanica, ovviamente di mia invenzione perché io impazzisco per queste mecha-trasformazioni che permettono di evidenziare gli elementi di interesse…
Una rappresentazione del bacino e dei femori nelle due versioni di stacco: la larghezza delle gambe fa variare la forma dell’arco. La stessa forza che preme dall’alto deve essere sostenuta da forze maggiori nel sumo rispetto alle stesse forze del regolare, proprio per motivi geometrici: questa forza è contrastata con due forze che non agiscono nella stessa direzione della precedente e più queste forze sono inclinate, più devono essere intense.
L’esempio classico è quello del filo su cui si stendono i panni per asciugarli: più il filo è teso, più i suoi estremi sono in trazione. Un filo perfettamente orizzontale necessiterebbe di una trazione infinita per sostenere il peso dei panni. Nel sumo i femori premono dentro il bacino con con più forza che nel regolare. Potete provare
sempre con il giochino dello stacco in spaccata, sentirete proprio questa maggior “pressione”.
La testa del femore è angolata rispetto all’asse longitudinale femorale di circa 135°, anche se può variare da 90° a 160°, come in figura a destra: esiste una variabilità delle dimensioni antropometriche di questo come di tutte le ossa del corpo umano. Ipotizzando per il bacino una dimensione media, massima e minima, a sinistra ho riportato le nove combinazioni possibili con tre tipi di bacino e tre tipi di femore.
Ognuna di queste combinazioni reagirà differentemente al sumo rispetto al regolare: esisteranno delle configurazioni più adatte al sumo, altre meno, altre per niente. Queste differenze, sebbene non possano essere apprezzate tramite un semplice confronto di altezze, esistono e sono determinanti.
A parità di altezza e lunghezza delle ossa io mi trovo male nel sumo, mentre altri no. La ricerca della “schiena dritta”… mi ha fottuto, per questo vi invito a non prendere mai per oro colato certe affermazioni lapidarie ed assolute: possono essere vere per tutti eccetto che per voi.
E alla fine…
Ribadisco l’avvertimento: non voglio fare del terrorismo psicologico. Il sumo è una alzata bellissima e magari io potessi farla… pagherei per una foto di un mio record di stacco a gambe larghe piantate in terra!
Però il sumo è tecnico, complesso, paragonabile al front squat. Non va scelto come ripiego, ma attentamente. Può facilmente ingannare il principiante perchè il sumo rende facile il posizionamento con la schiena dura e tesa, ma a fronte di questo impone un tipo di spinta la cui assimilazione non è per niente semplice.
Non è perciò un trucco della serie “Ah ecco!”, abbiantene rispetto. Allo stesso tempo, dopo un po’ di regolare, inserite anche il sumo perchè uno stacchista completo deve essere bravo in entrambe le tecniche.
Under pressure
Serve o non serve la cintura nel sollevamento pesi? E’ bene allenare oppure no gli addominali per dare stabilità al tronco? Studi su questa roba hanno dato risultati contraddittori. Secondo me queste contraddizioni possono essere risolte se gli stessi risultati vengono letti considerando il giusto contesto.
Addominali dritti e storti
Nel disegno i fasci muscolari che compongono quelli che vengono comunemente indicati come “addominali“: notate come si compongano di vari “strati” con le fibre direzionate in varie angolazioni a formare una fascia elastica ancorata al bacino, alla spina dorsale e alle costole che “avvolge” stomaco, reni, intestino e il resto delle viscere (bleah…)
Gonfia che stai meglio!
Gli addominali sono parte di un sistema pneumatico capace di sostenere la spina dorsale in maniera molto efficace: l’intera cavità addominale può essere vista come un palloncino messo in pressione dal diaframma, a sua volta “caricato” dall’aria inspirata dai polmoni e dai fasci obliqui e trasversi degli addominali: il palloncino interno genera una contropressione che fornisce supporto impedendo alla schiena di flettere.
Attenzione! Questo giochino funziona solo se bloccate la respirazione durante i movimenti: chi ha problemi di pressione, di cuore, ischemie, tachicardie, extrasistole, ictus, aneurismi deve valutare attentamente l’impatto di queste brevi apnee!
Il disegno esemplifica quello che accade: una respirazione con la parte “bassa” dei polmoni, diaframmatica, il blocco dell’espirazione, la contrazione degli addominali, la flessione in avanti. Questo fa aumentare drasticamente la pressione interna e il supporto lombare.
Chiaramente, non è che per aumentare la pressione intraaddominale (IAP, Intra Abdominal Pressure) dovete flettere in avanti: la schiena deve essere tenuta alla normale curvatura fisiologica, tesa e compatta e sarà l’inclinazione data dal carico che dovete sollevare che creerà l’aumento di pressione interna.
Allenare gli addominali.
Se sono gli addominali a garantire la tenuta del nostro palloncino, perché non allenarli abbestia per metterci in pressione meglio? Mi raccomando: 2 bar davanti e 2,2 bar dietro! E’ a questo punto che nascono i classici miti da palestra.
Il primo è allenare gli addominali con tonnellate di crunch o di sollevamenti delle gambe, “così faccio gli addominali alti e bassi“.
I crunch, i classici addominali sulla panca, allenano essenzialmente il retto addominale e se tornate al primo disegno potete notare che compito di questo muscolo sia avvicinare lo sterno al pube.
Adesso, provate a fare uno squat e a contrarre il retto addominale. Fatto? Ok, tornate a leggere ma state attenti a non macchiare la tastiera e lo schermo con tutto quel sangue che vi esce dal naso e dalla bocca perché vi siete di sicuro spappolati al suolo… Il retto addominale non è un muscolo che viene usato durante uno squat o uno stacco perché già ci pensa l’odiosa forza di gravità a cercare di portare il vostro sterno vicino al vostro pube!
Inutile allenare il retto addominale per questo scopo, inutili tutti quegli addominali della serie “non fa male, ancora uno“. E’ paradossale che il muscolo che crea l’anelato six pack che fa sembrare tutti atletici e scattanti… non serva poi a molto nei movimenti atletici e scattanti!
La pressione intraaddominale è invece gestita proprio dal trasverso dell’addome e in misura minore dagli obliqui: sempre nel primo disegno del paragrafo sono indicati i versi di trazione di questi muscoli che tendono a strizzare le viscere senza avvicinare il torace al bacino.
Sebbene sembri logico allenare specificatamente questi muscoli, molti esperimenti dimostrano che i risultati sono invece deludenti: dopo un certo numero di sedute apposite i partecipanti hanno eseguito dei test per determinare la forza muscolare e la pressione interna generata, evidenziando che a fronte di un aumento della forza del trasverso non vi era un correlato incremento della pressione interna.
Questo significa che per ottenere un aumento di pressione è necessario allenare specificatamente i muscoli per quel compito piuttosto che bombardarli con esercizi generici. Non significa invece che sia inutile allenare gli addominali perché entrano pesantemente in gioco nella postura e nella stabilizzazione di tutto l’organismo. Solo, non è necessario per migliorare il proprio stacco!
Non dovete leggere questa affermazione in maniera assolutistica: se siete delle seghe inumane, due addominali in più non possono farvi che bene…
La cintura per i pesi
Esistono tantissimi studi per determinare se la cintura supporti o meno le vertebre lombari durante il sollevamento di oggetti pesanti, mai i risultati sono contraddittori. Attualmente le ricerche sembrano concordare nell’affermare che la cintura non porti benefici. Però tutti i powerlifters usano la cintura perché permette di sollevare di più e non è che siano più furbi dei ricercatori!
Il disegno descrive il funzionamento della cintura: sotto sforzo la vostra trippa, per quanto possiate avere gli addominali di Wolverine, tenderà ad espandersi in avanti diminuendo la compressione lombare e toracica. La cintura stretta impedisce invece che questo accada e il palloncino interno rimane in pressione.
Respirare diaframmaticamente, bloccare il respiro, eseguire in apnea, espirare, ripartire: questa è la sequenza. Così facendo l’effetto è apprezzabile e basta provare: nello squat è come se nel punto inferiore del movimento due mani vi sorreggessero i fianchi oppure come se ci fosse una specie di “fermo”, nello stacco il bilanciere viene via dal suolo con più facilità.
Ma perché, allora, gli studi affermano che la cintura non sia di alcuna utilità? Immaginate di lavorare in un magazzino alimentare che consegna i prodotti a qualche grande magazzino, come ha fatto mio cognato per quasi due anni: dovete impaccare pacchi d’acqua o di scatolame per formare dei parallelepipedi alti due metri e a base quadrata di un metro che verranno fasciati e piazzati sui vari camion. 50 pancali l’ora e non sto scherzando: è impossibile compiere tutte le finezze da PL che ho appena descritto, perché sarebbero troppo impegnative e alla fine si andrebbe in iperossigenazione o si avrebbero sbalzi di pressione. Se la tecnica da sollevatore di pesi ha senso con i “pesi pesanti” sollevati per poche volte, di sicuro non ne ha con 15Kg sollevati centinaia di volte. Però la cintura funziona solo ed esclusivamente se utilizzata come ho descritto, altrimenti non dà nessun supporto lombare ed il senso di falsa sicurezza è invece assolutamente pericoloso.
I punti di attenzione nell’uso della cintura:
- Nessuna cintura, nemmeno quella di castità può salvare le vostre vertebre se la vostra tecnica fa schifo! La cintura non deve darvi la sensazione che possiate osare perché tanto vi protegge.
- Perché la cintura dia benefici è necessario che sia alta davanti sulla panza e non dietro sulla schiena come sono le cinture da bodybuilding che si basano sull’errato principio di sostenere dietro le vertebre lombari.
- Proprio perché dovete eseguire a respirazione bloccata, l’uso della cintura è sconsigliato sopra le 4-6 ripetizioni a serie: è impossibile controllare il “fiatone”, l’aumento della respirazione e anzi la cintura dà solo fastidio.
- Seguendo il proverbio “impara l’arte e mettila da parte“, dovete imparare ad usare bene la cintura ma poi non è necessario che la usiate sempre: come regola generale, usatela con carichi dall’85% del massimale. La cintura, infatti, amplifica ciò che è già presente e più che usare la cintura dovete imparare ad usare al meglio i vostri addominali!
- Usare la cintura nella panca è da simpatici coglioncelli, legarsi con la cintura allo schienale del lento dietro è da cretini deficienti.
- Se vi flippate e comprate una cintura da powerlifting state attenti le prime volte perché potete rompervi le costole nello stringerla stretta o proprio durante l’esercizio. Sarò l’unico idiota del pianeta a cui è successo, però stateci attenti perché io ho sentito un “tic” e poi mi ha fatto male il torace per dieci giorni.
Deep inside the deadlift
Il grafico rappresenta l’andamento della velocità del bilanciere nello stacco:
- Il bilanciere si solleva da terra al lift off e la sua velocità si incrementa in maniera praticamente lineare per effetto della spinta iniziale. Essendo la velocità lineare, l’accelerazione iniziale è costante: plausibilmente è possibile affermare che nello stacco da terra l’atleta generi una specie di “impulso” in cui la forza passa da zero ad un certo valore in un tempo molto rapido, per poi rimanere costante in questa fase iniziale.
- A circa 10 centimetri sotto il ginocchio inizia la regione dello sticking point, il punto debole dove il bilanciere rallenta: è in questa zona che le alzate falliscono e la differenza fra un principiante ed un avanzato è proprio nel riuscire a mantenere una velocità quanto più elevata possibile in questa parte della traiettoria.
- Superato il ginocchio la velocità si incrementa nuovamente, l’atleta assume la posizione eretta. Infine un rallentamento della velocità per terminare l’alzata.
Tutti gli esercizi complessi quali squat e panca esibiscono un andamento della velocità del bilanciere di questo tipo, detto bi-modale, con un punto a velocità minima. La comprensione dei motivi che generano lo sticking point è fondamentale per migliorare i nostri massimali: come nello squat, pur essendoci molte idee, teorie e misurazioni, l’argomento non è del tutto chiarito.
Scuoiamo gli omini blu che giocano sopra il grafico delle velocità e riportiamo i loro scheletri in questo quadro d’insieme di una alzata di stacco corretta.
Il movimento di stacco inizia con una estensione delle tibie utilizzando massicciamente i quadricipiti: le tibie vanno indietro e spingono i femori a far sollevare le anche: una alzata corretta prevede che bacino e spalle si spostino contemporaneamente in modo che la schiena fra A e B si mantenga parallela a se stessa.
Nel disegno in alto a destra sono sovrapposti i bacini ed i femori degli scheletri A e B: la spina dorsale non varia l’angolo con la verticale, ma è presente invece una rotazione del femore! Il femore B ha ruotato in senso orario rispetto al femore A, questo significa che il bacino ha ruotato in senso antiorario rispetto al femore anche se dall’esterno si è percepita la rotazione del femore a bacino bloccato.
Ma se il bacino ha ruotato indietro, cioè si è esteso, questo è avvenuto grazie agli estensori dell’anca, i glutei e i femorali! Sebbene lo spostamento verso l’alto sia dovuto all’estensione delle tibie, la correttezza dell’alzata è tutta a carico degli estensori dell’anca.
In C il passaggio al ginocchio: è il momento in cui inizia la rotazione del bacino proprio rispetto allo spettatore esterno, per assumere la posizione eretta. La rotazione del bacino avviene grazie all’uso dei glutei, muscoli monoarticolari (si inseriscono sul bacino e sul femore facendo ruotarlo intorno all’anca) e dei femorali, muscoli biarticolari (si inseriscono sul bacino e sulla tibia, connettendo fra loro due articolazioni a differenza del caso precedente).
Contraendosi, i femorali estendono l’anca ma contemporaneamente flettono le tibie! La contrazione dei femorali contrasta quella dei quadricipiti che invece estendono le tibie. Questo fenomeno è inevitabile ed è la famosa co-contrazione che tanto protegge i legamenti crociati anteriori in questi movimenti.
La rotazione del bacino deve così avvenire in contemporanea con la rotazione delle ginocchia, usando muscoli antagonisti: quadricipiti e femorali. Queste due azioni contrastanti sono compiti complessi per il sistema nervoso che deve coordinare sotto carico muscoli con funzionalità opposte. Al ginocchio vi è il passaggio da uno schema motorio knee dominant dove prevale il ginocchio a uno hip dominant dove prevale il bacino: è un momento incasinato che avviene anche le punto a maggior difficoltà meccanica, da cui un rallentamento del movimento e la “valle” nel grafico delle velocità! Superato questo punto, l’alzata si chiude quasi sempre se l’assetto è corretto.
In questo disegno, invece, due errori comuni: posizionarsi con l’assetto assetto corretto A ma perderlo appena il bilanciere si solleva dal suolo, oppure posizionarsi in maniera proprio sbagliata come in H. Devo dire che è meglio il secondo caso, perché il difetto è evidente e il miglioramento immediato con una grande gratificazione psicologica per il soggetto.
Il risultato finale è che in F la situazione sia disastrosa: una estensione delle ginocchia troppo pronunciata senza il corrispondente uso dei glutei e dei femorali a sostegno del bacino a cui si accompagna sempre un uso scorretto della spina che flette in avanti. Il disegno a destra esemplifica questo comportamento: il bacino ruota indietro rispetto al femore anche in questo caso, ma ruota anche la spina in avanti rispetto al bacino!
Questo accade perché il soggetto non ha un controllo ottimale dei glutei, dei femorali e degli erettori spinali che costituiscono un blocco coordinativo unico: non mette forza per ruotare correttamente il bacino, non mette forza per tenere la schiena in posizione e far salire le spalle.
Al passaggio al ginocchio G tutti i difetti vengono amplificati, come visibile dal confronto a sinistra fra le due posizioni bella e brutta. Due le differenze sostanziali:
- I disegni centrali: al passaggio al ginocchio la stessa forza peso P si presenta con una leva meccanica più lunga per lo scarso G rispetto al fantastico C. In una altalena il bambino grosso e prepotente che siede però più vicino dal centro di rotazione non può sollevare il seghino piazzato invece lontano da questo, qua accade la stessa cosa: più il peso è lontano dalle anche, più il nostro atleta dovrà metterci forza per sollevarlo. Più leva, più forza, più compressione dei dischi intervertebrali a parità di carico sul bilanciere.
- I disegni a destra: la schiena di G non solo più flessa rispetto a quella di C ma ha anche perso parte della sua curvatura! I dischi intervertebrali sono pertanto sottoposti anche all’incremento di stress dovuto all’utilizzo di una posizione meno “fisiologica” rispetto al caso precedente.
Maggior forza da generare con la spina in un assetto scorretto: fantastico! La chiusura del movimento per G è decisamente più difficile che per C. Il motivo per cui insisto in maniera maniacalmente ossessiva sull’uso di questi cazzo di glutei e femorali è che sicuramente il movimento iniziale viene generato dai quadricipiti, ma se non iniziate da subito ad usare anche “il sotto” della coscia e le chiappe… fallirete 25 centimetri più in alto.
No femorali, no party: perché arrivare allo sticking point in una posizione meccanicamente più svantaggiosa?
L’atleta avanzato riesce ad avere una velocità più uniforme nella zona dello sticking point rispetto all’atleta principiante od intermedio, che magari parte a razzo ma poi si pianta e precipita al suolo: gestisce meglio la transizione fra i due gruppi dominanti, coordinandoli contemporaneamente a differenza del principiante che li usa separatamente.
Il test della scatola
Nella normale vita quotidiana difficilmente è necessario sollevare pesi tali per cui sia richiesta una gran coordinazione: per non fracassarsi le vertebre in fondo basta tenere la schiena compatta, premere con i quadricipiti e mettersi in piedi con un bell’1-2 chiappe-schiena. Vi invito a riprendervi mentre sollevate qualcosa di “pesante”, il che equivale al massimo a due casse d’acqua, di latte, un sacco di cemento che per legge non può essere più di 25Kg: sollevate questi oggetti dal suolo in una postura simile allo stacco mezzo sumo che vi garantisce anche una schiena più eretta e perciò l’1-2 è ancora più facile!
Quando vi approcciate allo stacco da terra vi manca del tutto il feeling con l’uso della catena cinetica posteriore, per questo la maggior difficoltà dei principianti è evitare di sparare le chiappe al cielo e anche chi ha una postura visivamente buona molto spesso non “sente” l’uso dei glutei: la co-contrazione non avviene in maniera corretta, dato che i movimenti quotidiani non la insegnano.
Nello squat l’uso non corretto della co-contrazione si paga fin da subito con dei crash spettacolari lo stacco è un esercizio più sicuro e a traiettoria ridotta rispetto all’altro esercizio ed è così possibile assumere per anni assetti sbagliati pur sollevando pesi ragguardevoli.
Vi propongo un test che potete utilizzare come un vero e proprio allenamento, una specie di “dai la cera, togli la cera” del Maestro Miagi in modo che anche voi al termine possiate spaccare il muso al fottuto biondino antipatico con il Calcio del Drago Zoppo e baciare la tipa carina che vi piace tanto prima del The End e dei titoli di coda.
Procuratevi una cassa di plastica come quella per la frutta per le bottiglie di vetro: deve essere alta 30-35 centimetri, deve avere delle maniglie e deve starvi fra le gambe. Dai… non fatemi fare un disegno con Autocad, avete capito su…
Adesso riprendetevi con una cam ripetendo il complicatissimo movimento eseguito da Brad Pitt che è stato entusiasta di partecipare a questo esperimento: caricate un peso decente nella cassa, 30Kg in questo caso, piazzatevi davanti alla cassa, afferratela come fareste al supermercato e sollevatela.
“Ma tu usi un sacco la schiena! Ma tu così ti farai malissimo!” Ok, adesso riguardatevi nella clip: anche voi avete fatto come me! Adesso, volontariamente, Bradd Pitt cerca di tirare moooolto più di schiena: ripetete anche voi.
“Ma… è quasi la stessa cosa!” Infatti, è così (devo dire di essermi stupito io stesso eh…): fra un movimento “normale” e uno sentito molto più di schiena non c’è molta differenza con i carichi utilizzati nella vita di tutti i giorni. Ho eseguito un perfetto stoop lifting, un sollevamento da chinati.
Adesso, invece, provate a tirarla su in questo modo, ripetendo fino a che non ci siete riusciti: questo è uno squat lifting, un sollevamento da accovacciati che segue tutte le regole del bravo stacchista quali schiena ipertesa per aumentare il vantaggio meccanico delle leve, aumento della compressione sulle vertebre per migliorare la stabilità, bla bla bla tutte le cose lette alla nausea nei paragrafi precedenti.
Se questo è il modo migliore per tirare su da terra delle casse pesanti, perché il mondo è pieno di milioni di fessi che invece le sollevano nell’altro modo massacrandosi la schiena?
Per sollevare la cassa dal suolo dovete prima… afferrarla, cioè piegarvi in qualche modo fino a prendere le maniglie: nei fotogrammi a sinistra gli istanti prima di afferrare la cassa per lo stoop e squat lifting.
Ripetete anche voi, però quando siete in quelle posizioni bloccatevi per circa 20-30 secondi: noterete come la posizione in alto sia molto meno faticosa rispetto a quella in basso, che risulta invece scomoda ed “innaturale”. Immaginate di dover avvitare, stringere, manipolare oggetti in entrambe le posizioni: quale scegliereste? Esistono studi che mostrano come con l’insorgere della fatica vi è un passaggio da un assetto-squat ad un assetto-stoop. Perché?
E’ incredibile come il corpo umano sia incasinato in qualsiasi movimento compia, anche sollevare una fottuta cassa da terra: devo disegnare sempre un casino ma almeno posso dar sfoggio della mia nuova libreria di ossa e vertebre (non prendetela come un trattato di anatomia, sono miei disegni e dentro ci sono un sacco di svarioni come nelle prime ricostruzioni di scheletri di dinosauro dove piazzavano la testa al posto del culo):
- Con lo squat lifting la schiena è in estensione e vengono usati massicciamente tutti i muscoli spinali per garantire il mantenimento delle curvature fisiologiche. Con lo stoop lifting la la schiena è flessa in avanti e il compito di mantenere le vertebre insieme fra loro è affidato alla tensione passiva data dallo stiramento dei legamenti posteriori delle vertebre e alla trazione esercitata dai dischi intervertebrali. Uno stiramento passivo per mantenere l’assetto necessita di molta meno energia rispetto ad una contrazione attiva e questo è il motivo per cui nello stoop non “sentite” di fare forza con la schiena.
- Le frecce spesse indicano le forze che i quadricipiti devono contrastare per permettere al tizio secco di sollevarsi, le distanze q indicano i bracci di leva di queste forze peso: nella posizione di squat la leva è più lunga rispetto alla posizione di stoop e questo è il motivo per cui fate più fatica con le “cosce davanti” a tenere lo squat rispetto allo stoop.
- Le distanze f indicano invece l’allungamento dei femorali nelle due posizioni: nello squat i femorali sono meno allungati rispetto allo stoop, perciò esercitano una tensione passiva dovuta allo stretching inferiore rispetto allo stoop. E’ la contrazione volontaria che fornisce la tensione necessaria a mantenere l’assetto e questo è il motivo per cui fate più fatica con le “cosce dietro” a tenere lo squat rispetto allo stoop.
Noi palestrati palestra-centrici vediamo sempre troppe ernie e protrusioni, ma il punto è che il nostro corpo non è fatto per sollevare quintali di ferro per poche volte: il corpo umano è fatto per compiere movimenti ripetitivi ad intensità medio-basse. Intensità medio-basse, migliaia di ripetizioni.
Lo stoop lifting è energicamente meno impegnativo e il nostro cervello usa questo stile quando dobbiamo sollevare qualcosa, stare chini, spingere. Provate ad immaginare quanti movimenti eseguite in questa posizione e vedrete che sono più di quanto pensiate. Vi è mai capitato di cambiare una gomma bucata? Come avvitate i bulloni con la chiave in dotazione, quella scarsissima a L? Siete chini in avanti! Oppure, guardate una mischia del rugby: stoop position, non squat position.
Se lo stoop lifting e lo squat lifting sono equivalenti a basso carico, non è così quando il ferro cresce sul bilanciere: in questo caso, citando ancora Confucio, “non ci sono cazzi” e lo squat lifting risulta essere la tecnica più adatta perché, per i 3000 motivi che oramai conosciamo, permette un uso biomeccanicamente funzionale del corpo umano sotto carico. Con questo termine intendo proprio il modo più efficiente ed efficace per sollevare il maggior carico possibile senza infortunarsi.
Le prime volte che fate stacco, sebbene voi vogliate sollevare “per bene” questo pensiero non si traduce in un insieme di segnali elettrici coerente con l’attivazione muscolare richiesta: vi piazzate con tutte le buone intenzioni per poi toppare miseramente.
Similmente allo squat sotto il parallelo, non c’è niente che non va nel vostro corpo ma si tratta “solo” di insegnargli qualcosa di nuovo. In questa fase di apprendimento dovrete fare cose che vi sembreranno esasperate, vi sentirete impalati, contratti, ridicoli ma quando avrete capito potrete evitare tutti questi riti assurdi. Però adesso fateli.
I due fotogrammi a sinistra rappresentano un posizionamento “medio” davanti alla cassa: ho la schiena estesa e mi fletto pensando di mantenerla in posizione, senza però farlo.
I due fotogrammi a destra rappresentano invece una situazione differente: volontariamente contraggo i muscoli della schiena, partendo dai trapezi e dai classici “dorsali” che si allenano con la lat-machine, poi contraggo la bassa schiena. Come potete osservare, ho le chiappe più in fuori: mi piego mantenendo la contrazione e ottengo un improbabile posizionamento come nel fotogramma a destra.
Se volete mantenere la schiena rigida come nella posizione di partenza, l’unico modo per afferrare la cassa è flettere le ginocchia: afferratela continuando a mantenere quella postura, adesso sollevatela pensando esclusivamente a mantenere la schiena in quel modo e non allo spingere a terra: miracolosamente, la cassa viene su senza tensione lombare!
Comprendo che rompe assolutamente le palle perdere tempo in esercizi apparentemente assurdi e che in palestra già vi guardano come un futuro paralitico perché fate lo stacco, però… che vi devo dire? Io il problema l’ho risolto alla base: mi sono ritagliato uno spazio dove posso sperimentare quello che mi pare.
Brico deadlift
Adesso vi presenterò qualche tecnica di intensificazione, da realizzarsi con l’ attrezzatura very low tech della foto: nell’arsenale del serio sollevatore non possono mai mancare tavolette di legno di vario spessore e un bel pacco di elastici da portabagagli!
Ci tengo però a scrivere una serie di precisazioni, tanto per essere chiari e diretti:
- C’è gente assolutamente enorme e forte che queste cose non le ha mai viste, non sa proprio della loro esistenza. Ma vive grossa e felice. Non pensiate che questa roba sia fondamentale e assolutamente indispensabile: come direbbe Staley, questi sono tools, strumenti da tirare fuori dalla scatola degli attrezzi al momento opportuno. Potete usarli o meno, ma se li conoscete avete un mezzo in più per migliorarvi.
- La seconda è che questa roba è cool, figa, forte, ganza, toga, è ooooh-yeah! Fa scena, vi fa sentire competenti a parlarne in palestra. E’ tutto ok, ma… non approfittatene. Detesto quelli che, con la puzza sotto al naso, fanno sentire idioti tutti quelli che non si allenano facendo squat bulgaro sulla palla svizzera per la stabilizzazione del core, che non fanno stretching con il foam roller o che non fanno il counter movement squat jump. Propongo esercizi intelligenti, per molti nuovi ma… sono solo esercizi. Cercate di capirne la logica, poi potete inventarne di vostri. Ah… questa roba non l’ho inventata di certo io!
- Nel caso che qualcuno vi prenda per il culo in palestra, inventate qualche panzana: servono per la FEF, forza elastica funzionale, per superare gli sticking points (il che è vero…), per correggere squilibri posturali nei prime movers. Inventate. Basta che siate sicuri e decisi, in un ambiente dove c’è chi mangia di notte per non catabolizzare farete un bel figurone.
Stacco sui rialzi
Lo stacco sui rialzi è un esercizio tanto semplice quanto efficace. Niente è più didattico di questo esercizio per imparare uno stacco corretto. La soluzione a molti problemi è a costo infimo.
A sinistra uno stacco con il bilanciere ad una altezza regolamentare di 22.5 centimetri da terra, a destra uno stacco con il bilanciere ad una altezza di dieci centimetri da terra, intendendo con “terra” la superficie su cui si trovano i miei piedi.
L’utilizzo del valore “dieci centimetri” è convenzionale: potete utilizzare 12 centimetri, 11,172 con il due periodico, ma il concetto è che dovete percepire chiaramente che il bilanciere è “basso”. Se invece di 22.5 mettete 17.5 non sentirete molta differenza e lo scopo dell’esercizio non sarà raggiunto.
Notate come nella foto a sinistra abbia le scarpe dato che stavo preparando le clip per illustrare la differenza fra sumo e regolare e la presenza delle scarpe era ininfluente,
mentre a destra me le sono tolte perchè 2 centimetri e passa di tacco su una altezza di 10 centimetri condizionano di brutto l’esercizio, anche con soli 90Kg
La differenza fra lo stacco normale e quello sui rialzi è che sono molto più “compresso” se voglio mantenere la schiena in assetto con le curve fisiologiche e contratta. A destra le inclinazioni della schiena e delle gambe: le schiene sono in pratica nella stessa posizione, ma non i femori.
Scopo dell’esercizio è proprio questo: far capire come tenere la schiena in assetto. Anche coloro che riescono a tenerla “giù” avranno difficoltà in questo esercizio, a maggior ragione per chi abitualmente non lo fa e tiene la schiena a “C” o estende le gambe anticipatamente. Fatelo sui rialzi, il peso rimarrà a terra.
Nei due fotogrammi a sinistra una esecuzione corretta: schiena tesa, spingo con glutei e femorali. Al distacco del bilanciere mi trovo all’altezza regolamentare ma mentre normalmente parto da questa posizione, sui rialzi questo è invece un punto difficile dell’alzata.
Al centro la situazione per coloro che non riescono a mettersi bene in assetto: i rialzi esaltano questo difetto e quando sono all’altezza di stacco regolamentare mi trovo con le spalle troppo in avanti. Idem nella situazione a destra, dove mostro una esecuzione con la schiena a “C” che risulta fallimentare ben prima del passaggio al ginocchio.
Il movimento dai rialzi è pertanto uno stacco luuuuungo, che non perdona quelli che fanno l’uno-due chiappe-schiena: se tirate di schiena, i rialzi saranno la vostra bestia nera perchè non c’è schiena che tenga. Se analizzassimo la curva delle velocità scopriremmo che la zona dello sticking point si è estesa e che la velocità rallenta prima del passaggio al ginocchio, a partire da quella che sarebbe la classica posizione di partenza.
Personalmente, adoro questo esercizio, perchè è semplice ma allo stesso tempo il movimento lungo mi dà molta soddisfazione. Con delle tavolette più lunghe è possibile utilizzare i rialzi anche nella tecnica sumo. Se vi esercitate con costanza, vedrete che la differenza fra massimale sui rialzi da 10 centimetri e massimale ad altezza regolamentare da 22,5 centimetri sarà di circa il 10%-15%.
Pin Pull, il contrario
Con le tavolette è possibile effettuare l’esatto contrario: piazzare i pesi più in alto. Mettete tante tavolette per fare in modo che il bilanciere sia a circa 5 centimetri sotto la rotula. Ok, fatto? Ora mettetevi in posizione e tirate: Miiiiiiiiii!!!! Ma non è più facile manco pooocazz!!
Pensate che al crescere dell’altezza tirare il peso via dal suolo diventi più semplice? Bing! Risposta errata, in prigione senza passare dal Via!
A sinistra un Paolino che esegue un pin pull sulle barre del rack, proprio come il nome vuole: pin pull significa tirare dai pin, dagli appoggi e le tavolette sono la versione economica senza rack dato che l’esercizio è assolutamente sicuro anche senza tutta l’intelaiatura. Un unico accorgimento: sarebbe opportuno che le tavolette abbiano sui lati “corti” degli spessori per impedire che i dischi rotolino a terra con fragorosi effetti speciali in dolby surround.
A destra il grafico della velocità del bilanciere nello stacco: dove piazzate il bilanciere nel pin pull? Poco sotto il ginocchio, nel punto più difficile dell’alzata dove si verifica il passaggio fra movimento knee dominant a quello hip dominant! Per questo il pin pull è un esercizio veramente bastardo e se volete cimentarvi in qualcosa di veramente tecnico e impegnativo, questo è ciò che fa per voi.
Stacco con gli elastici
L’utilizzo degli elastici è stato reso famoso da Luois Simmons del Westside Barbell Club. Stiamo parlando di Powerlifting, perciò per coloro che lo detestano posso dire che un elastico è un elastico: serve per tirare le grappette, per tenere i pacchi sul portabagagli, per farci lo stacco o per impiccarsi. Un minimo di apertura mentale e vedrete che con pochi euro vi divertirete.
Poniamo un problema interessante: voglio sovraccaricare una porzione della traiettoria di un esercizio come in un movimento parziale, mantenendolo però completo. Mumble mumble mumble… Bingo! (oppure, Tombola! perchè siamo in Italia) uso gli elastici in modo che siano tesi nel punto che mi interessa, sovraccaricandolo!.
Ecco come dovete fare: una tavoletta, 4 elastici da portabagagli et voilà, elastic deadlift station.
Una esecuzione di stacco con gli elastici deve risultare assolutamente identica a una senza: l’elastico deve iniziare a tirare a metà tibia e via via che vi mettete in piedi tirerà sempre di più. La trazione ideale è compresa fra i 20Kg e i 30Kg, parametri che vanno bene anche per lo squat, per la panca è meglio tenersi sui 20Kg (lo scrivo per i temerari che proveranno).
L’elastico incrementa la sua trazione in maniera lineare, come una molla, perciò se i Kg sono 25 e l’escursione 50 centimetri per ogni 5 di escursione centimetri l’incremento di carico equivalente sul bilanciere sarà di 2,5Kg. Nell’esempio stacco 90Kg e chiudo 120Kg.
Lo so che sarebbe meglio inserire una percentuale del massimale per essere più fico-scientifici, ma alla fine i numeri 20-30Kg sono quelli corretti, sia che abbiate 150Kg che 300Kg: se tarate per 30Kg questo costituirà un un 20% o un 10%, non un 500% e uno 0,5%!
Lo scopo è avere un sovraccarico tale da sentirlo ma da non essere trascinati giù: con 10Kg, non “si sente” niente, mentre con 40Kg c’è un punto in cui il movimento si “intacca” e rallenta troppo. Nulla vieta di utilizzare 100Kg di trazione, però prima sperimenterei con un risultato testato…
L’elastico rende l’alzata, a parità di carico, diversa dal normale. I 120Kg con gli elastici non sono i 120Kg senza elastici: sono più “nervosi”. Non ha l’inerzia di un peso di ferro e tira in maniera direzionale verso il basso. Ogni minimo sbilanciamento o inclinazione fa si che la trazione sia disuguale. Provate: sentirete proprio che c’è qualcosa che tira “volontariamente” verso il basso, punendo gli errori esecutivi.
Tirate con le chiappe che salgono per prime, ce la farete nella prima parte del movimento poi quando l’elastico “entra”… bang! giù a terra come se qualcuno mettesse un piede sul bilanciere e dicesse “eh no ciccio bello, fai cagare, ripeti”.
Mi raccomando a non commettere l’errore tipico dell’allenamento con gli elastici: avete sul bilanciere i Kg di ferro e i Kg degli elastici. Dovete andare decisi come se il peso fosse il totale, non in scioltezza come se il peso fosse solo quello caricato!
Meglio gli elastici o le catene?
Non avendo l’inerzia data dalla massa, gli elastici restituiscono una risposta “istantanea” ad eventuali oscillazioni rispetto alle catene che invece sono più “lente”. Ma sono finezze, due modi efficaci per sovraccaricare una parte di un movimento completo. Per apprezzare le differenze è necessario innanzi tutto avere la possibilità di provare: compratevi 30Kg di catene, mettetele in borsa quando andate in palestra e fate i confronti.
Come dite? 30Kg di catene costano ed è complicato dietro? Ma dài… Ecco la differenza sostanziale che rende gli elastici superiori alle catene: costano 1 euro l’uno e si sbattono in borsa. Fine dei giochi.
Tarare gli elastici
Ora scrivo qualcosa per i brocchi come me, lo so che siete tutti intelligenti, laureati con lode e successivo Master e che quello che dirò risulterà per voi offensivo. Chiedo perdono, non leggete…
Per tarare gli elastici è necessario un orologio al cesio, una copia dell’elastico di riferimento conservato al museo dei Pesi e delle Misure di Sevres, una bombola di azoto liquido a -195 gradi Celsius. Un errore di 10 alla meno 6 impedisce un corretto allenamento, perciò attenti!
Vi mettete su una bilancia il bilanciere in mano e senza gli elastici, vi pesate. Poi mettete un elastico in trazione facendolo passare sotto la bilancia e vi pesate di nuovo. La differenza fra le due misure è la trazione di un singolo elastico.
Tarate un solo elastico e non tutti e usate il bilanciere scarico, dato che la classica bilancia da bagno arriva fino a 120Kge facilmente va fuori scala. Lo so che sono tutte idiozie, so anche che non commetterete lo stupido errore del fotogramma a destra: montate tutto, poi vi accorgete che la bilancia è sotto l’elastico e non sopra e che state tirando ma non misurando. E’ troppo stupido fare così, ma ve lo dico lo stesso…
Il procedimento è assolutamente imperfetto, perchè, tanto per dire, nella foto in un caso ho pesato anche la tavoletta e nell’altro no. Proprio per tutti questi errori di misurazione è poco sensato stabilire una trazione precisa al Kg, ma è meglio lasciare un intervallo. Quello che conta non è il numero assoluto, ma il fatto che voi prepariate gli elastici sempre allo stesso modo e usiate sempre gli stessi: che siano 23, 25, 24,5Kg diventa allora del tutto irrilevante.
Allenare lo stacco
L’apprendimento di un nuovo schema motorio segue sempre quanto schema, regolarmente disatteso in palestra. Se ci pensate, come imparate a giocare alla WII? Provate e riprovate fino a che “non viene bene” il movimento.
Vi è mai capitato che smettete di giocare nervosi perché non vi riesce un certo passaggio, provate il giorno dopo e incredibilmente siete più bravi? Le teorie sull’apprendimento concordano nel ritenere che i nuovi schemi mentali siano prima immagazzinati in una zona del cervello relativa alla memoria a breve termine e poi, nelle ore successive, “spostati” e “consolidati” in aree che contengono la memoria a lungo termine, alterando proprio la struttura del cervello.
Quando questo accade ciò che era “nuovo” risulta “assimilato”. Questo è il motivo per cui non ci si scorda più di come si va in bicicletta o del perché il giorno dopo giocate meglio con la WII: lo schema è stato assorbito e la configurazione dei segnali elettrici è generata senza l’impegno iniziale.
Da tutto questo deriva che per imparare correttamente qualsiasi cosa è necessaria l’esposizione frequente e corretta di quel qualcosa: frequente in modo da far assimilare lo schema, corretta perché lo schema da assimilare deve essere banalmente quello giusto. Questo è il significato del flowchart (un articolo che si rispetti deve avere almeno un flowchart e un diagramma a torta per essere preso in considerazione… la torta ancora non l’ho messa, perdonatemi).
Se questo è il modo di apprendere qualsiasi cosa universalmente conosciuto, direi proprio “naturale”, appena il principiante si mette a leggere su Internet o sente “il grosso” della palestra ecco che viene regolarmente disatteso perché “per la massa si fa 3×8, per la forza 3×3”.
Per la natura dell’allenamento funzionale, il pubblico di RawTraining.eu ha sicuramente (vero?) una mentalità differente, più propensa al mettersi in gioco in movimenti complessi e a dedicare tempo alla tecnica e alle “finezze che fanno la differenza”.
Per allenare bene lo stacco, come tutti gli esercizi, è necessario allenarsi “ad alzata” e non “a gruppo muscolare”: concentrarsi sull’esercizio e non sui muscoli che vengono messi sotto stress, sulla tecnica e non sulla massa, sull’essere abili sotto carico piuttosto. Questa mentalità costituisce almeno il 50% del risultato finale, un 20% sono le proprie doti fisiche, il restante 30% l’allenamento. Le prime due dipendono da Madre Natura e potete farci poco, la terza è tutta nelle vostre mani. Non ci credete? State sovrastimando le caratteristiche fisiche, fidatevi.
Immaginate il classico tizio ultradotato da 180cm su 90Kg di peso all’11% di grasso che potenzialmente potrebbe valere 300Kg di stacco, ragazzi… trecentochilogrammi! Però essendo il più forte ovunque vada non sfrutta le sue potenzialità e si ferma a 240Kg, l’80% del suo potenziale che è un risultato sempre eccezionale ma comunque non stellare come l’altro.
Adesso un altro tizio le cui potenzialità sono proprio di 240Kg, un ottimo risultato ma, come detto, non paragonabile. Il secondo tizio si allena però molto meglio del primo e raggiunge il 90% del suo massimo, circa 215Kg. La differenza fra i due si riduce da 60Kg a 25Kg, cioè da essere oltre il confine del sistema solare a semplicemente molto lontano all’orizzonte.
E, credetemi, il secondo sarà molto più “bello” del primo perché quel risultato è ottenuto attraverso l’allenamento e la tecnica mentre l’altro per grazia ricevuta: è anche molto probabile che parlare con il secondo tizio vi fornisce informazioni utili, mentre il primo sciorinerà le solite fantateorie da palestra.
Lo stacco è per le gambe o per la schiena?
Questa domanda è classica in palestra, spero di non sentirla anche qua. Lo stacco allena le gambe e la schiena, è per tutte e due. Se vi allenate a gruppi muscolari questa è una domanda esistenziale sicuramente angosciante, se vi allenate ad alzate diventa invece irrilevante.
Lo stacco ha la capacità di drenare tantissime energie proprio perché è “sicuro” dato che non potete farvi male con il bilanciere se sbagliate e così oserete sempre più che in altri esercizi. Se vi allenate pesantemente è bene confinarlo come ultimo esercizio della seduta: sebbene sia l’esercizio dove potete caricare di più in assoluto è in fondo ben più semplice di altri, perciò potete ottenere quasi sempre ottimi risultati anche se lo allenate da stanchi.
Banali accorgimenti:
- Prima di allenare lo stacco evitare rematori e iperestensioni che invece possono essere svolti dopo. Questi esercizi coinvolgono direttamente o indirettamente gli erettori spinali, l’anello debole del movimento di stacco.
- Allenate invece le trazioni prima dello stacco e non viceversa. Le trazioni coinvolgono il grande dorsale che viene utilizzato nello stacco in maniera isometrica, perciò se è “stanco” non lo influenza comunque. Viceversa, se il dorsale è “stanco” le trazioni vanno ad escort perché in questo esercizio il dorsale è usato massicciamente per sollevarsi.
- Proprio perché lo stacco coinvolge tutta la muscolatura in condizioni di relativa sicurezza, ha la capacità di creare una fatica complessiva incredibile: idealmente la frequenza di allenamento è limitata ad una sessione a settimana, specialmente se ne avete un’altra in cui fate squat. Se potete reggere una frequenza superiore siete dei principianti (non c’è nulla di male, io lo sono in tante cose) oppure non sapete allenarvi (in questo caso, qualcosina di male c’è…)
E’ sempre meglio posizionare nella settimana la seduta di stacco dopo quella di squat, anche il giorno dopo se serve. Viceversa, se allenate prima lo stacco dello squat cercate di mantenere una distanza di almeno tre giorni.
Alleniamo lo stacco
Propongo un possibile schema di allenamento per chi mai ha sollevato da terra un bilanciere: 24 settimane di allenamento, 6 mesi, per passare da zero Kg di massimale al doppio del proprio peso corporeo. Sono solo idee, non le Tavole dei Comandamenti celati nell’Arca dell’Alleanza! Sono anche assolutamente contrario a programmazioni che traguardano un orizzonte temporale così lontano dato che nella mia quotidianità difficilmente riesco ad avere la certezza di cosa farò fra due settimane, però questa trattazione mi permetterà di affrontare aspetti generali dell’allenamento.
Per prima cosa, stabilite due giorni in cui a meno di essere reclutati nell’Armata dei Buoni per la Terza Guerra Mondiale voi vi allenerete sicuramente, stabilite un tempo che dedicherete religiosamente allo stacco: allenatevi per il resto come e quanto vi pare, ma non relegate lo stacco ad uno scarto del vostro tempo. Entrate in sintonia con tutto questo e sarete a metà dell’opera.
Avete bisogno di:
- Un cronometro.
- Una macchina fotografica digitale.
- Un blocco note.
- Una penna.
- Un certo numero di tavolette di legno da usare come spessori, misure di riferimento possono essere 30cm x 60cm x 2cm.
- Un certo numero di elastici da portabagagli con chiusura a scatto di plastica, 4 sono di solito sufficienti.
- Una cassa di plastica robusta, con maniglie e alta circa 30-35cm.
Tutto questo senza “si ma”. Il primo che dice “si ma” va sui ceci dietro la lavagna, come si faceva una volta quando non c’era tanta psicologia nella scuola e se dicevi a casa che il prof era stato cattivo prendevi anche due legnate.
In ogni allenamento la distanza del bilanciere dal suolo è sempre di 22,5cm a meno che non espressamente indicato, perciò se avete i dischi più piccoli metteteci sotto le tavolette. “Si ma il proprietario..:” dietro la lavagna!
Fase introduttiva
In questa fase della durata di 6 settimane prenderete confidenza con l’esercizio: due sessioni a settimana, una al massimo di 30 minuti dove proverete lo stacco e una al massimo di 20 minuti dove proverete il test della scatola.
Dovete “vivere” questo periodo con curiosità ed entusiasmo. Massacratevi di squat a 20 ripetizioni per sentire il picco anabolico degli ormoni (ci sono persone che “sentono” gli ormoni salire… che rumore faranno gli ormoni quando salgono? Come un crepitio tipo le patatine che friggono o come il gorgoglio dell’acqua che riempie una vasca? Mah…), fate l’8×8 di Gironda nella panca ma lasciate intatte queste sedute di stacco.
La prima volta quale carico userete? Quale schema? Quante serie e quante ripetizioni? Adesso una frase che destabilizzerà il principiante che vuole certezze granitiche perché è insicuro: non-lo-so!
- La prima volta che vi allenate piazzate sul bilanciere 30Kg, fate una serie da 3 ripetizioni in cui vi riprendete: controllate come vi sembra di aver eseguito, ripetete subito dopo tanto il tempo per riguardarvi corrisponde sicuramente a circa 45″.
- Dopo due o tre serie di questo tipo incrementate “un po'” il carico. Sarebbe bello scrivere “5%” ma… che senso avrebbe? Il 5% di che? “Un po'” è l’unità di misura giusta perché generica, direi che 5Kg vanno bene. Continuate a fare serie e riprendervi.
- Incrementate ancora il peso e ripetete così fino a che non arrivate ad un punto in cui le tre ripetizioni sono più “dure”. Bene, stop. Segnate sul blocco quello che avete fatto e andate a casa o fate public relation con le tipe del GAG che vi cacano solo perché vogliono scroccare un passaggio nel vostro enorme SUV fallicamente compensativo.
- Questo schema di allenamento è lo stesso per la seduta con la cassa.
- Complessivamente nei minuti delle due sedute dovreste aver svolto circa 12-15 serie da 3 ripetizioni in tutto.
Complimenti, avete superato la vostra prima settimana di stacco!
Nella seconda settimana, semplicemente, ripetete cercando di migliorare. Sforzatevi di seguire tutti gli accorgimenti tecnici di questo terrificante trattato, riprendetevi e riguardatevi sempre. Al termine di questa seconda settimana si verificherà una specie di miracolo: inizierete a capirci qualcosa.
E’ sempre così: l’essere umano ha una capacità innata di auto-organizzarsi dato che ricerca sempre l’ordine nel caos, simmetrie nelle asimmetrie, azioni sequenziali piuttosto che casuali. Adesso avete idea di quanto carico potete utilizzare e vi siete fatti un’idea di cosa potreste fare nella settimana successiva.
Un altro aspetto interessante è che molto probabilmente il massimo carico su 3 ripetizioni della prima settimana è adesso abbastanza agevole da considerarlo come “mediamente facile”. Bene, adesso razionalizziamo un po’ di più questa idea per le successive 4 settimane. L’intera Teoria dell’Allenamento è proprio questo: formalizzare le idee migliori per ottenere risultati piuttosto che riscoprire ogni volta la ruota e il fuoco.
Leggete sul blocco il massimo carico che avete utilizzato per 3 ripetizioni, che chiameremo con assoluta originalità C. Per quelli come me che non ci arrivano, il carico C per la seduta di stacco è diverso dal carico C della seduta con la scatola. Lo schema che seguirete nelle due sedute sarà questo:
Sett | Onda base | n° Onde | Rec |
---|---|---|---|
7° sett | 3×100%C – 2×105%C – 1×110%C | 3 | 1′ fra le serie, 2′ fra le onde |
8° sett | 3x3x100%C – 2×105%C – 1×110%C | 4 | 1′ fra le serie, 2′ fra le onde |
9° sett | 3×105% – 2×110%C – 1×115%C | 3 | 1′ fra le serie, 2′ fra le onde |
10° sett | 3×105% – 2×110%C – 1×115%C | 4 | 1′ fra le serie, 2′ fra le onde |
Sebbene siate dei “principiati” seguirete uno schema “avanzato” che pertanto necessita della spiegazione delle idee dietro le quinte:
- La colonna onda base contiene la struttura di tre serie. Eseguirete una serie da 3 con il carico C, poi una da 2 con il 105% di C che sicuramente vi riuscirà perché ad un carico maggiore corrisponde un numero minore di ripetizioni, per finire una da 1 con il 110% di C e anche questa vi riuscirà perché si tratta di una ripetizione sola. Fra ogni serie recuperate un minuto cronometrato.
- Dopo queste tre serie recuperate 2 minuti e ripetete lo schema di base, ancora recuperate e ripetete. Avete appena eseguito uno schema ad onde dove il carico si incrementa e diventa sempre più impegnativo, poi torna indietro. Così facendo sfruttate l’adattamento al carico a breve termine del sistema nervoso: la serie da 3 successiva a quella da 1 è percepita come “facile”.
- La settimana successiva mantenete gli stessi carichi ma incrementate di un’intera onda, aumentando lo stimolo “volume”: riuscirete a svolgere questo allenamento grazie all’adattamento rispetto alla seduta precedente.
- La terza settimana tornate a 3 onde ma incrementate il carico, aumentando lo stimolo “intensità”: più peso ma meno lavoro da svolgere.
- Infine, l’ultima settimana incrementate il precedente allenamento di un’onda.
Il grafico descrive l’andamento dello schema, che è detto a fisarmonica in quanto espandete e contraete volume ed intensità di lavoro (il termine l’ho chiaramente inventato io…): questo è un modo molto efficace di ottenere risultati: aumentate l’intensità “di un po'”, ci stazionate sopra aumentando il volume “di un altro po'”, poi di nuovo aumentate l’intensità.
Se moltiplicate in ogni allenamento i carichi per il totale delle ripetizioni, un parametro caro alla pesistica chiamato tonnellaggio, scoprirete che in 4 sedute siete migliorati del 40%
Chiaramente, non sono lì con voi perciò non è che dovete seguire alla lettera: se i carichi indicati sono troppo facili in un allenamento, lasciateli così ma aggiungete onde e incrementateli di più nell’allenamento successivo. Viceversa se sono troppo impegnativi, ma non credo, abbassateli ma mantenete il volume di allenamento.
Scopo di questa fase introduttiva è che nelle serie singole dell’ultimo allenamento utilizziate il vostro peso corporeo: non posso garantirlo ma sono fiducioso che avverrà e sono convinto che molti arriveranno a carichi più elevati, anche del 150% del proprio peso corporeo, ed è per questo che invito ad operare gli aggiustamenti del caso.
Fase intermedia
Adesso che avete appreso la tecnica di base e i carichi sono sicuramente saliti potete passare ad un solo allenamento settimanale. Avete anche sufficienti informazioni che potete leggere negli appunti che avete preso (perché li avete presi, nevvero?) per determinare con sufficiente precisione i carichi “giusti” per voi in questa fase.
Questa fase di quattro settimane è banalmente semplice in quanto ripeterete pari pari lo schema ad onda precedente con gli stessi carichi… ma invece dello stacco regolare vi eserciterete nello stacco sui rialzi. Tutto uguale ma tutto ben più impegnativo, per questo la seduta sarà unica!
Dato che l’esercizio è nuovo e le sensazioni che vi restituirà saranno diverse dallo stacco che avete fino ad ora provato, sarebbe opportuno spendere un paio di settimane come all’inizio però… dai… che palle, no? Adesso vi sentite ben più sicuri perciò è meglio “osare” un po’ di più passando direttamente ad uno schema strutturato.
Riprendetevi e riguardatevi perché all’inizio non vi sentirete a vostro agio e potete tirare nella maniera sbagliata. Non abbiate ansia di completare lo schema, non barattate il carico con la tecnica: se tirate male, scaricate e ripetete anche a costo di passarci 8 settimane.
Test
Dopo 10 settimane è bene prendersi un po’ di riposo e ne approfitterete per un bel test massimale sullo stacco regolare da svolgersi dopo 7 giorni dall’ultimo allenamento. Vi scaldate ed utilizzate per una singola ripetizione il carico massimo che avete usato nella serie da 3: è l’inizio del test. Passate ad una singola con il carico da 2 ripetizioni e poi una con il carico da 1 ripetizione. Gli incrementi successivi saranno sempre del solito 5% utilizzato in tutto questo periodo.
A questo punto passerete il confine verso la Zona Ignota, continuando ad incrementare il carico ogni volta e a fare singole: quello che succederà è che potrete andare facilmente avanti per 4-5 singole, poi il carico diventerà impegnativo, fino a che non si solleverà più dal suolo o la vostra tecnica non comincerà a degradarsi. Per questo motivo dovete assolutamente riprendervi!
Sono assolutamente convinto che vi stupirete di ciò che otterrete e non è raro centrare il bersaglio fin da adesso. Dovreste comunque arrivare sui 100Kg, un traguardo importante.
Fase standard
Un massimale reale e non stimato permette di calibrare correttamente i carichi per il ciclo successivo che ho chiamato standard perché utilizza uno schemettino oramai consolidato e sicuro nei risultati che può portare.
Sett | Schema | Rec |
---|---|---|
12° sett | 5x4x80% | 2′ |
13° sett | 6x3x85% | 2′ |
14° sett | 8x2x90% | 2′ |
15° sett | 5x4x82,5% | 2’30” |
16° sett | 6x3x87,5% | 2’30” |
17° sett | 8x2x92,5% | 2’30” |
18° sett | 10x1x95% | 2′ |
Sebbene della durata di ben 7 settimane, è un bel doppio schema:
- Nelle prime tre settimane il carico si incrementa ma le ripetizioni da svolgere con quel carico decrescono. Contestualmente, aumentano le serie con quelle ripetizioni in modo da mantenere il volume di lavoro quanto più costante possibile: 20, 18, 16 ripetizioni rispettivamente. I classici schemi da palestra scalano invece anche le serie con le ripetizioni, tipo 5×4, 3×3, 2×2 ma in questo caso il volume totale scende a livelli troppo bassi per essere allenante.
- Le successive tre settimane sono una ripetizione delle precedenti incrementando però tutti i carichi “di un po'”: detesto scrivere quel 2,5% ma è l’unico modo per mantenere una notazione coerente. Considerate, semplicemente, un incremento di 2,5Kg e se non avete i pesi di 1250 gr utilizzatene uno da 1Kg e uno da 0,5Kg per un totale di 3Kg. Se nella vostra palestra non avete pesi di questo taglio… comprateli no? 6 euro di spesa e potete metterli in borsa. “Si ma…” come? “niente…”
- Invece di un test nell’ultima settimana svolgerete un allenamento particolare dato che uno schema 10×1 è quanto di più efficace esista nello stacco. Il passaggio dall’8×2 al 10×1 comporta un abbattimento del 50% del volume di lavoro per serie (da 2 a 1 ripetizione e lo sentite tutto, garantito) e quasi del 40% del volume totale. Scoprirete, ne sono convinto, che è estremamente divertente maneggiare per così tante ripetizioni, sebbene singole, un peso che per voi è sicuramente elevato!
- Gli schemi 8×2 e a maggior ragione quello 10×1 vi faranno apprezzare nuovamente l’adattamento al carico a breve termine: le serie migliori, quelle a tecnica più pulita e in cui “sentite” proprio che siete “potenti” sono tutte quelle intermedie, solitamente dalla 3° alla 6°-7° perché avete oramai compreso che quel carico è fattibile e ancora non è intervenuta la fatica. E’ un peccato che questo tipo di sensazioni siano precluse a chi si fissa con il classico 3×8 o con una singola serie a cedimento sanguinolento…
La rappresentazione grafica del ciclo permette di apprezzarne le variazioni: il “trucco” è quello di impostare delle progressioni che coinvolgano più variabili allenanti e non solamente l’incremento del carico a schema fisso. Questo non è vero solamente per lo stacco, ma per tutti gli esercizi ed in generale per tutte le attività in cui ricerchiamo un miglioramento prestativo.
In tutto questo periodo se “sentite” (non abusate del termine…) che la vostra tecnica è ok potete riprendervi non in tutte le serie ma ogni serie dispari o ogni due o tre serie. Riprendete sempre la penultima, solitamente la peggiore, e l’ultima.
Fase elastica
Arrivati a questo punto dovreste esservi trasformati in piccoli stacchisti in fasce: una esecuzione più pulita, precisa, senza sbavature, compatta, grintosa (ok, mi sto esaltando ah ah ah). E’ il momento di testarsi con gli elastici: 20Kg di trazione secondo le scientifiche indicazioni di qualche paragrafo addietro, con il seguente schema.
Sett | Onda base | n° Onde | Rec |
---|---|---|---|
19° sett | 3×60% – 1×80% | 3 | 1′ fra le serie, 2′ fra le onde |
20° sett | 3×60% – 1×80% | 4 | 1′ fra le serie, 2′ fra le onde |
21° sett | 2×65% – 1×90% | 2 | 1′ fra le serie, 2′ fra le onde |
- Non fatevi ingannare dallo schema:
- Il 60% + 20Kg equivale a circa il vostro 80% del massimale senza elastici, l’80% + 20Kg equivale a circa il vostro massimale, sebbene solo in chiusura. Perciò, l’allenamento è impegnativo al massimo e vi prego di abbassare le percentuali nel primo allenamento se fossero troppo elevate.
- Scopo di tutto questo schema è allenarvi alla gestione dei carichi elevati in chiusura, concludendosi con un allenamento di fatto sovramassimale per la presenza di un peso pari al 90%. I “salti” di carico all’interno delle onde sono più elevati del normale in modo da mantenere un buon volume di lavoro (che rappresenta l’esposizione al carico necessaria per l’apprendimento dello schema motorio) con una punta di intensità.
- Se invece l’allenamento fosse troppo “leggero” aggiungete onde e non incrementate i carichi. L’ideale sarebbe una sequenza di 4, 5 e 3 onde nelle tre settimane.
- E’ assolutamente necessario riprendersi perché state affrontando un esercizio nuovo e molto impegnativo, garantito!
Concludete la seduta con un 4×4 di stacco sumo a carico costante a vostro piacere, con 1′ di recupero.
Nel solito schema potete notare come a fronte del passaggio dall’80& al 90% vi sia un drastico decremento del volume di allenamento.
Fase finale
L’intero schema si basa sul fatto che, essendo principianti, miglioriate durante le settimane: i vostri massimali non sono consolidato come chi ha una anzianità di allenamento di dieci anni di stacco, pertanto non deve stupire l’uso di percentuali così elevate e se faceste dei test ogni quattro settimane scoprireste che il 100% di due mesi fa magari oggi è il carico “impegnativo” di oggi che usate in uno schema 6×3.
Sett | Schema | Rec |
---|---|---|
22° sett | 10x1x97,5% | 2′ |
23° sett | 6-8x1x100% | 2′ |
Siete molto allenati, avete provato carichi sovramassimali, siete in grado di gestire buoni volumi di allenamento con una buona (spero) tecnica: queste ultime due settimane sono per voi a volume ridotto sebbene a carichi elevati e costituiscono una specie di periodo di scarico, un vero e proprio tapering pregara cioè la fase in cui viene ricercato il picco prestativo.
La settimana successiva sarete pronti per il test che decreterà la sconfitta definitiva delle Forze del Male oppure una nuova era di barbarie e soprusi. Miei cavalieri, combattete fino alla morte, fino all’ultimo uomo, fino all’ultimo respiro, morte al falso metallo, cavalcate verso la gloria!
Conclusioni
Ragazzi, sono letteralmente distrutto… va bene che mi piace parlare di stacco, però non ne posso proprio più. Che dico adesso di intelligente, ci vorrebbe una bella frase ad effetto… Mah… proviamo…
Lo stacco non è paragonabile come complessità ad una croce agli anelli, ad uno sprint sui 100 metri, ad una evoluzione con la BMX o lo skateboard e nemmeno al suo parente snob che è lo squat. Lo stacco è un rozzo, brutale, primitivo e viscerale movimento, è una pura esplosione di aggressività animalesca.
Però… avete visto quanto ho scritto? Come in tutte le attività che coinvolgono il corpo umano, anche le più banali se analizzate in dettaglio sono meno semplici del previsto e c’è sempre un modo “giusto” e uno “sbagliato” per svolgerle. Lo stacco non fa eccezione: sebbene consista nel sollevare un fottuto pezzo di ferro per poi ributtarlo giù, c’è una “professionalità” da apprendere e una “esperienza” da formarsi.
Adesso avete a disposizione tutti gli elementi per allenare questo fantastico esercizio: teoria, tecnica, pratica e uno straccio di allenamento. “Impegnarsi” nelle attività fisiche non consiste solo nel picchiare duro a testa bassa, ma anche “studiare”: se avete letto questo articolo state studiando, se vi riprenderete nelle varie serie starete studiando.
Ecco la frase ad effetto:
il saggio impara dai propri errori, il genio da quelli degli altri.
Io sono stato sempre un saggio, voi potete essere dei geni.
Keep on deadlifting!
Paolo
ironpaolo
Paolo "IronPaolo" Evangelista, classe 1968, ingegnere elettronico. Un vero appassionato dell'allenamento della forza. Anni trascorsi a sperimentare sul proprio corpo i metodi dell'allenamento proposti dai grandi preparatori. Ma non solo. Ciò che lo distingue dalla massa è la sua attitudine alla ricerca e all'analisi; on-Line sono pubblicati numerosi suoi articoli di indiscussa qualità e sostanza. Per maggiori informazioni visita il sito Dangerous Fitness.
Paolo è RawTraining Strength Master Coach.
Disegnare un circuito di allenamento5 Ottobre 2009
Nutrizione su misura, parte 1 5 Ottobre 2009
6 commenti
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fantastica guida….ora torno a combattere il mio demone con più nozioni! grazie
Beh, io non ho mai fatto uno stacco in vita mia, ma è stato bellissimo leggere questo articolo: grazie Paolo!
Grazie Paolo io sono nuovo di questo forum ma il tuo articolo mi sarà molto d’aiuto, ho fatto stacchi cercando di migliorare la mia tecnica per anni ma non ho mai avuto consigli cosi importanti e ho continuato ad eseguirli con la speranza di drizzare quella gobba che si formava quando staccavo 220Kg ma niente da fare finché un giorno ho smesso, ormai ero rassegnato ma ora ho una piccola speranza grazie
Federicozan se anche tu come me, come noi, vuoi migliorare la qualità degli allenamenti e non ti fidi dei falsi personal trainer gonfi che non danno un consiglio giusto neanche a pregarli, se anche tu come me, come noi vuoi allenarti sul serio e hai bisogno di una base ti posso solo che consigliare il libro del nostro caro Paolo Iron che trovi sul sito ufficiale di Olympian’s intitolato DCSS di Paolo Evangelista.
Ti assicuro che ne vale la pena.
Grande Paolo, grazie ancora per la tua enorme pazienza nel pubblicare articoli così lunghi e dettagliati gratis, perchè come ben sappiamo queste informazioni solitamente costano care !!
Mammamia… una guida fantastica e completa !!!
Adesso capisco un sacco di cose che prima mi sfuggivano completamente… soprattutto per quanto riguarda il ruolo della cintura e l’importanza della respirazione.
Grazie Paolo
Complimenti per la guida. Molto dettagliata e interessantissima. Ho alcune domande piuttosto stupide da fare:
In che modo posso inserire lo stacco nell’allenamento in maniera efficace per migliorare l’elevazione?
Un programma di multifrequenza con lo stacco può essere una buona idea? ( se l’allenamento con i pesi è complementare ad altre attività sportive e non volto al sollevamento pesi puro)